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ERA IL 26 MAGGIO 1817 ... A SAN MARCO ARGENTANO



Esattamente duecento anni fa, come oggi, nel quartiere Santa Caterina, moriva un bambino di soli due anni. Il suo nome era Raffaello. Quando nacque, suo padre era stato da poco nominato legionario delle milizie napoleoniche con cui Murat sperava inutilmente di arginare il riscatto della dinastia borbonica.
Prima di proseguire nella nostra storia vogliamo da subito precisare che stiamo parlando di una famiglia tuttora presente nella nostra città, e siamo certi che molti di voi saranno ansiosi di sapere di quale famiglia stiamo parlando.
Ritorniamo all'inizio del racconto. Giuseppe e Marianna (Nomen omen!), i genitori del bambino morto, avevano da soli due giorni condiviso la gioia della nascita del loro terzo figlio Luigi, quando improvvisamente si spense il piccolo Raffaello.
A quei tempi la mortalità infantile era molto elevata e i due giovani genitori avevano già provato questo dolore con la morte post-partum della secondogenita Maddalena. Il loro primo figlio Pasquale, che portava lo stesso nome del nonno, godeva fortunatamente di ottima salute.
Insomma la morte, in quegli anni, non era qualcosa di irreparabile, ma era vista come una prova a cui periodicamente venivano sottoposti individui, famiglie e finanche regnanti.
Gioacchino Murat lasciò potere e vita sulla spiaggia di Pizzo il 3 maggio 1815, fucilato dalle truppe borboniche comandate dal capitano Trentacapilli. La restaurazione della dinastia borbonica in Calabria fece svanire il sogno rivoluzionario di tante famiglie sanmarchesi che avevano visto con simpatia l'ingresso delle truppe francesi di Giuseppe Bonaparte prima e di Gioacchino Murat dopo in terra calabra. Il protagonista della nostra storia dovette, quindi, svestire dopo appena quattro mesi la divisa di legionario delle guardie provinciali, un corpo scelto ed esclusivo formato da fedelissimi del re francese, per tornare alla sua attività di conciatore di pelli che gli garantiva una buon tenore di vita.
Con questa "materia prima" si fabbricavano calzature e altre decine di oggetti destinati agli usi più disparati: selle per cavalli, finiture, sacche, borse e valigie, oltre agli accessori per la caccia e via dicendo.
Possiamo immaginare, dunque, quali e quanti dissidi covavano e si alimentavano quotidianamente tra le famiglie sia a causa della differenza di classe sociale, sia per invidia delle richezze possedute e sia per le contrapposte visioni politiche: vecchi sanfedisti contro vecchi repubblicani, neo borbonici contro neo rivoluzionari.
Con la morte di Murat l'antica feudalità, quella abolita proprio dalle leggi napoleoniche, a beneficio dei cittadini che svolgevano mestieri e professioni, aveva ripreso potere e vigore e così famiglie che vivevano nello stesso quartiere avevano finito per odiarsi nell'alternarsi delle diverse vittorie e sconfitte politiche.
La famiglia di Giuseppe viveva in un quartiere che oggi potremmo definire di gente benestante con riguardo alle classi sociali ivi presenti, ma con una forte tensione socio-politica rispetto alle idee del tempo. Non può passare inosservato che a poca distanza della casa di Giuseppe vi fosse quella di un famiglia che aveva tra i suoi membri legami con la corte dei Borbone e anche con il capitano Trentacapilli l'esecutore della fucilazione di re Gioacchino.
Tutto questo per dire che la morte di un bambino non destava quel corale afflato di commozione con conseguente compianto generale, ma -riteniamo di non discostarci troppo da una realtà che stiamo solo ipotizzando- forse era accompagnato anche da commenti e considerazioni che dei precetti cristiani inculcati in secoli di moralizzazioni forzate facevano interpretazione personale e assoluta.
Ognuno continuava per la propria strada, sia in senso figurato, che letterale: coloro che si ritenevano depositari di antichi e consolidati privilegi difendevano con oculatezza i propri beni, stando attenti soprattutto a contenere la prole legittima, fonte di possibile dissipazione delle ricchezze, quelli che cercavano di conquistarsi nuovi spazi economici avevano al contrario una visione emancipata della prole, intesa come un vero dono del Signore, per cui una morte veniva subito integrata da una nuova vita e finanche i nomi dei morti venivano ridati ai neonati.
Non so se in questo modo sono riuscito a dare un quadro dell'epoca in un piccolo quartiere sanmarchese, ma, ritornando alla famiglia di cui ci stiamo occupando, possiamo aggiungere che quel Raffaello morto nel 1817 fu per così dire riportato in vita, dando il suo nome all'ultimo nato di Giuseppe e di Marianna nel 1824. Dobbiamo necessariamente fare un piccolo salto nella storia che stiamo narrando, giungendo al momento del matrimonio di questo nome "ripescato". Siamo nel 1853 e il nostro giovane Raffaello sposa una donna nata a Rose ma presente da alcuni anni nel nostro comune. Inutile dire che le idee politiche della famiglia della sposa non si discostano molto da quelle del nostro Raffaello: in entrambe c'è, oltre l'appartenenza alla borghesia professionale, quel tantino di sopportazione della monarchia borbonica che si nutre della speranza di un qualche capovolgimento politico.
Il frutto del matrimonio è un maschio a cui gli sposi danno un nome che può essere la sintesi di quanto abbiamo appena detto: Francesco Filiberto. Il primo nome ricorda il principe regnante dell'epoca e il secondo è un nome della famiglia Savoia, il cui membro più antico era detto il "cacciatore".
Forse alcuni di voi avranno già intuito di quale attuale famiglia stiamo parlando, ma in ogni caso vogliamo aggiungere qualche altra curiosità a dimostrazione che non si ereditano solo beni materiali, ma anche e soprattutto quelli immateriali, come le idee e le passioni.
Passeranno solo tre anni da questa nascita e le sorti della nostra città, della nostra regione e dell'intero Regno delle due Sicilie saranno capovolte. Garibaldi e i suoi Mille si fermeranno e verranno rifocillati nella nostra pianura e poi assieme a vari sanmarchesi raggiungeranno Gaeta e Napoli consegnando l'Italia ai Savoia. È documentata la partecipazione alla spedizione di membri di entrambe le famiglie.
La storia finirà col dimostrare che quell'idea di rivoluzione sarà vincente e porterà all'Italia che noi abbiamo ereditato.
Francesco Filiberto si sposerà a sua volta con una donna appartenente anch'essa alla piccola borghesia produttiva del tempo, operante nella lavorazione del ferro. La loro prole, numerosa, si distinse per caparbietà, per scelte politiche, per scelte di vita anche coraggiose e ... per la caccia, forse in un caso spinta oltre la passione venatoria.
Non so se tutti, arrivati a questo punto, abbiano indovinato quale sia il cognome di Raffaello, per cui, come in un programma di giochi a quiz, vogliamo dare un ulteriore aiuto aggiungendo che la passione per la caccia è durata molto a lungo e quella per la politica è stata uno dei tratti distintivi di un diretto discendente, già sindaco socialista di questa città.

Paolo Chiaselotti

Sopra "La libertà che guida il popolo" dipinto di Eugene Delacroix, 1830, Museo del Louvre, Parigi



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