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ACCADDE OGGI - RICORRENZE DI EVENTI ACCADUTI


SCARPE A SALDO

"Do' Rri', ti piacianu sti stivaletti? Haiu finiti mo' mo', 'pi mastru Duminicu."
Don Enrico: "Su 'belli daveru, mastru Silviu. Qualu mastru Duminicu?"
Mastru Silviu: "Mastru Duminicu Amidiu, u sartu, u maritu 'i Saveria 'i Nicu." Don Enrico li prende per osservarli da vicino: "E mo', 'i mastru Duminicu passanu a 'mia!" dice uscendo dalla bottega di mastro Silvio, alla piazzetta Garibaldi, senza aggiungere altro.

Non posso asssicurarvi che il colloquio tra don Enrico Artusi e mastro Silvio Matrangolo si sia svolto esattamente nei termini e nei modi appena descritti, ma la sostanza è quella: don Enrico si era impossessato delle scarpe che il calzolaio aveva fatto di sana pianta per mastro Domenico Amedeo.
Era l'otto luglio del milleottocentottantanove.
Bene. Per dare maggiore veridicità al racconto di oggi voglio aggiungere qualche indizio che, oltre a mettere maggiormente a fuoco i protagonisti della vicenda, servirà a renderla più saporita e, voglio sperare, anche più digeribile da parte dei rispettivi discendenti. Ammesso che ne abbiano mai sentito parlare.

Per iniziare date un'occhiata alla foto in alto: fu scattata agli inizi degli Anni Venti e ritrae i frequentatori dell'epoca di piazza Umberto I. Tra questi spicca per il suo abbigliamento un signore con giacca e cappello bianchi, e i calzoni da cavallerizzo, stretti sulla gamba dalle fasce alla maniera militare. Si tratta di un Artusi, precisamente del figlio del protagonista della storia odierna.
Non so se somigliasse al padre, ma il suo aspetto mi ha suggerito di farne la cornice d'apertura del racconto, pensando che quel suo piglio decisionale ben rappresenta chi, come il padre Enrico, trova la soluzione ad ogni problema, senza pensarci su due volte.
Per rendere a tutto tondo quell'immagine che ovviamente nella foto risulta appiattita dall'assenza di uno spazio reale, voglio aggiungere che un suo antenato più di un secolo prima, seccato dagli schiamazzi di alcuni giacobini che stavano impiantando un albero della libertà, simbolo della Rivoluzione Francese, nella piazza di basso a pochi metri dalla sua abitazione, non esitò a sparare contro i sanculotti nostrani due schioppettate. Si chiamava Domenico Artusi e fortunatamente la sua mira non fu pari alla sua risolutezza, in quanto non colpì nessuno.
Di mastro Silvio posso dirvi soltanto che non era coniugato all'epoca del fatto, che era un eccellente artigiano, visto che sapeva creare per intero scarpe, scarponcini e stivaletti vari, e che era nato a San Marco nel milleottocentosessantadue.
Chi compare solo accidentalmente nel colloquio è mastro Domenico Amedeo, del quale ovviamente non sappiamo nulla, poiché sarebbe, e voglio aggiungere al condizionale un forse, il proprietario degli stivaletti. Era un sarto, sapeva leggere e scrivere, e all'epoca della citazione aveva ventisette anni. Erano suoi gli stivaletti? Ne siamo certi? E se invece fossero stati di don Enrico?
Sapete come vanno le cose: uno dice una cosa, l'altro un'altra e finisce che a rimetterci è il povero calzolaio che, fosse vera o meno la sua affermazione, vide la sua opera, costata soldi e fatica, portata via dalla sua bottega senza ricevere in cambio nessun corrispettivo in denaro.
A questo punto non c'è altra via d'uscita che rivolgersi ad un giudice. E così fece il povero mastro Silvio: "Do' 'Rico dice che le scarpe sono sue perchè mastro Domenico gli deve dei soldi, mastro Domenico non vuol pagarmi le scarpe perché non gliele ho mai consegnate! Insomma, a me le scarpe chi me le paga?!"
Non lo so, nè posso immaginarlo, ma trattandosi di una "farsa" voglio credere che mastro Silvio si sia rivolto ad un avvocato, magari a quello in cui aveva maggiore fiducia, quello più vicino alla sua bottega, magari a quello che la bottega gliela aveva affittata.
"La causa è vinta!" mi sembra di sentire il ragionamento del legale. "Chi ha preso le scarpe?"
"Gli stivaletti ..." sarà stata la precisazione ovvia di chi aveva fatto il sudato lavoro-
L'udienza si svolse il quattordici ottobre del milleottocentottantanove. Erano tutti presenti, assieme al solito pubblico di curiosi. L'attesa della sentenza fu lunga e snervante; il giudice con enfasi lesse il capo d'accusa:
"Artusi Enrico di Luigi anni 37, negoziante, imputato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, perché nella bottega di Silvio Matrangolo calzolaio l'otto luglio milleottocentottantasette si impossessò di un paio di stivalini che il Matrangolo aveva costruito a Domenico Amedeo da cui pretendeva diritti creditori ..."
Al solo sentire il nome dell'imputato un brivido corse lungo la schiena del povero mastro calzolaio, ma fu rincuorato dal volto disteso e sorridente, sicuro di se, dal suo avvocato, che con lo sguardo pareva volesse sottolineare il capo d'imputazione, i sostantivi e gli aggettivi che ne facevano corolla.

Il verdetto risuonò in un'aula silenziosa in cui pubblico e parti in causa avevano smesso di respirare ...
"ASSOLTO"


San Marco Argentano 14 ottobre 2020

Paolo Chiaselotti



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