Tutte le antistorie  INDICE ANTISTORIE
L'ANTISTORIA

DUBBI E CERTEZZE

Gaudet suo sapiens sic limite


Vi sembrerà incoerente che dopo aver sostenuto (e lo sostengo ancora) che prima del Guiscardo nella sua città ci fossero solo sparse e sparute comunità religiose, oggi mi soffermi sulla preesistenza di un abitato urbano, cogliendo per l'occasione l'opportunità di vagare, entro i limiti della fruibilità temporale di chi legge, in altri ambiti.
Inizierò da questi ultimi, emblematicamente e provocatoriamente evidenziati nell'immagine d'apertura, dicendo che le questioni che vado da tempo affrontando non mi competerebbero, non essendo uno storico ma semplicemente un visionario curioso. Credo che questa sia una caratteristica che appartiene a molte altre persone, attratte come me più dalla visione delle cose che da riflessioni astratte. Ne consegue che noi visionari ci affidiamo alla vista e successivamente alla riflessione, mentre gli altri agiscono all'opposto o addirittura trascurano ciò che loro appare.
Noi visionari saremmo capaci di attribuire ad una pietra un'identità, una storia, immaginandone di tutto e di più, al di fuori dei limiti della ragione. I riflessivi, non essendo interessati alle visioni, attribuirebbero alla pietra le caratteristiche geomorfologiche di cui sono a conoscenza e da esse cercherebbero di ampliare i limiti cognitivi attraverso deduzioni logiche.
Vi sono poi altri che, appresa un'informazione, la fanno propria a tal punto che essa diventa assoluta e inamovibile: in tale paranoia possono, tuttavia, cadere sia i visionari, che i riflessivi.
Il timore che io possa finire in questo girone è tale che da semplice visionario, spesso, molto spesso, mi chiedo: "E se non fosse vero?", se cioè la mia visione fosse errata o distorta?
Allora che cosa faccio? Provo a capovolgere completamente il punto di vista, immaginando tutt'altro di quanto avevo pensato. Cioè inserisco il dubbio, dall'inizio alla fine, come fanno gli spagnoli nello scrivere una frase interrogativa: un punto di domanda capovolto all'inizio e uno diritto alla fine della frase.
Passo subito al dubbio.
E se ci fossero state case e abitanti in una parte dell'attuale San Marco, ovvero in quella che identifichiamo come il centro storico più antico? Quella per capirci che si affaccia sul versante occidentale, quella con la maggiore densità edilizia?
Certo che se così fosse dovremmo seriamente pensare di adottare per San Marco l'abbreviazione a.G. e d.G. (Dio mi perdoni) per indicare un periodo ante Guiscardo e dopo Guiscardo!
Ma da dove può nascere ad un visionario un simile dubbio? Ovviamente dalla visione delle case. Ma non solo.
Per noi visionari anche le parole hanno un potere evocativo che ai riflessivi per la maggior parte servono per articolare pensieri logici. I toponimi, ad esempio, rappresentano per me evocazioni di tempi, azioni, persone, e soprattutto suggestioni. Una di esse, nella quale mi imbattei trascrivendo atti d'archivio, fu CRITÉ, che era il nome di un quartiere di San Marco, non il più antico, che restava il quartiere TRIVOLISI, ma il più popolato e il più esteso nell'antico centro urbano.
Il visionario, piuttosto che cadere nel dogmatismo che rappresenterebbe la sua fine, compulsivamente si affanna a cercare conferme alle sue intuizioni ed essendo visionario le trova. Quasi sempre.
E così capita a me.
Quel CRITÈ mi colpì perché mi suonava estraneo al contesto storico e sociale al quale era applicato. Sarebbe potuta essere una corruzione della voce crita, crite, con un possibile riferimento ad una zona da cui si estraeva l'argilla, cosa niente affatto improbabile, e per certi versi subdolamente allettante dal punto di vista etimologico, ma nella mia immaginazione (il visionario più che per pensieri ragiona per immagini) CRITÈ era e doveva essere un suono prima ancora che una parola antica.
Il pericolo maggiore per il visionario è imboccare la via sbagliata perché non sa dove andrà a perdersi rinunciando alla logica, ma se gli va bene le sue visioni diventeranno verità difficilmente confutabili sotto il profilo storico scientifico, come Tertulliano insegna.
Non è il mio caso, in quanto unisco alla visione l'ironia e l'autoironia che mi rendono niente affatto credibile, tuttavia ci provo. E a furia di cercare conferme in una serie di documenti d'archivio, dal Cinque/Seicento fino all'Ottocento, ho trovato il nome del quartiere sempre scritto con l'accento, o in rari casi Criteo, e ho finito col convircermi che il nome derivasse dal greco. Quindi, attraverso una serie, sempre più escludente, di ricerche in rete, passando dal greco al latino classico e da questo a quello più tardo, da ignorante, ho dedotto che il quartiere portava un nome che significava GIUDICE.
La compulsività del visionario fa sì che, essendo egli racchiuso nei limiti della sua visione, la sua idea finisce per diventare pietra, materia solidissima, sfaldabile solo con la fine del suo portatore.
E questa idea alla fine, nel mio caso e guarda caso, si è materializzata con l'aiuto di un principe della testardaggine, Quinto Settimio Tertulliano, il quale in una sua opera dice Instituit super illos Critas, intendendo per Critas i giudici (http://ducange.enc.sorbonne.fr/crita).
Mi chiedo (anche i visionari a volte si interrogano) perché mai un quartiere dovesse chiamarsi del Giudice, ovvero portare il genitivo del nome latino CRITA, AE nella forma tardo latina che aboliva il dittongo, trasformando il tutto in CRITÉ, e a che cosa potesse servire un giudice in un luogo che ancora doveva nascere.
A meno che, mi sono detto, esistesse o fosse esistita una comunità amministrata che includeva la presenza di un funzionario incaricato dell'amministrazione della giustizia.
L'origine greca della parola potrebbe essere fuorviante, visto che essa è evoluta verso un'analoga forma latina che potrebbe fare al caso nostro, ma resta il problema se il CRITÈ sorse a.G. o d.G., in quanto in entrambi i casi il funzionario, dapprima bizantino e quindi normanno, continuò a mantenere questo nome.
Se il quartiere esisteva e nessuno storico lo menzionò, potrebbe significare che esso era parte di un nucleo abitativo un tempo abbastanza evoluto e poi abbandonato. Tuttavia, anche i luoghi di questo genere venivano citati da cronisti e storici, per il fatto di essere stati insediamenti umani, condizione che nessuno storico avrebbe mai trascurato di far notare, considerando che il reimpiego di edifici e del prezioso materiale lapideo, tipo mura o pietre lavorate, era alla base del nuovo insediamento. Aspetti archeologici che nessuno storico ha mai citato nel caso di San Marco e che non compaiono nei vari documenti a noi pervenuti, nei quali non mancano chiese, mulini, casali e casalini.
Se invece il quartiere CRITÈ sorse in epoca d.G., credo sia legittimo chiedersi, anche da parte di un visionario, quando e perché i Normanni abbiano voluto o dovuto istituire la figura del giudice a San Marco, e per chi? Per cittadini residenti, per popolazioni sottomesse, per questioni interne? Non posso escludere che, in una permanenza durata oltre un secolo e mezzo, e forse oltre, ammesso che anche sotto il dominio svevo tale figura esistesse, possa essere nato un quartiere sottostante la chiesa di San Giovanni, la cui esistenza è documentata almeno dal 1209, e che in esso vi fosse l'ufficio, l'abitazione del "giustiziere" o entrambe le cose.
Il visionario potrebbe addirittura collegare l'idea che l'ufficio del CRITÈ possa essere una ... sezione distaccata del Giustizierato di Val di Crati, ma non credo che possa arrivare a tanto.
Potrebbe, tuttavia, essere assalito dal dubbio e cercare un'altra icona alla sua raffigurazione della storia, dando prova di come un visionario bravo e capace sappia ricorrere all'accostamento di immagini, per cui quel Crita, latino, o Xrités greco, gli evoca la CRIPTA, che del resto appartiene anch'essa al patrimonio locale, ma non tanto nella versione di costruzione sotterranea, troppo distante dal quartiere suddetto, quanto in quella più terra terra di generica spelonca (non lasciatevi fuorviare da miti e cose del genere).
Insomma quel CRITÈ potrebbe essere un luogo in cui vi erano caverne o cave (non lasciatevi andare a suggestioni precipitose!) in cui si andavano a rintanare persone, eremiti, pastori ecc.
Visto che siamo nel paese in cui San Francesco di Paola fece le prove di santità, andando a pregare, giovinetto, in una grotta, guarda caso il visionario (io, non il Santo) trova anche un autorevole appiglio a questa sua seconda fantasia, andandosi a ficcare come un capriolo nientemeno che nella crita del santo paolano:
" Item cum nonnulli venatores caprum adinvenissent, et eum cum canibus insequerentur, is vero fugeret, et intra Crita B. Francisci pro sui tutela se reciperet", come attestano gli "Acta S. Francisci de Paula" (http://ducange.enc.sorbonne.fr/critum)

San Marco Argentano, 8 giugno 2023

Paolo Chiaselotti
In alto l'immagine di copertina del libro Scorpiace di Quinto Settimio Tertulliano, edizione 1598 con il motto tipografico "Gaudet Suo Sapiens Sic Limite"


up
LA STORIA LE STORIE

info@lastorialestorie.it