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L'ANTISTORIA



ROBERTO IL GUISCARDO PRIMA DELLA FAMA


Povero di San Martino In questa seconda puntata dell'antistoria parlerò di un periodo poco noto della vita del nostro Guiscardo, cioè quello precedente la sua fama, o per essere più precisi quello riguardante letteralmente la sua fame!

Forse voi immaginate che io stia parlando di fame di potere, ma in questo caso avrei parlato di sete. Invece più di un documento ci parla di un povero Roberto alle prese con i crampi della fame. Brutti tempi, credetemi, anche se oggi noi celebriamo i fasti del duca con tanto di cortei, abiti d'epoca e quant'altro nelle periodiche rievocazioni storiche riguardanti il nostro duca e le sue consorti.

Eppure non uno bensí due cronisti del tempo, Amato di Montecassino e Goffredo Malaterra, dicono chiaramente che Roberto ebbe a patire la fame e il pane e il vino dovette procurarseli a rischio della vita (peggio del ciuchino Maramao, aggiungo io, al quale almeno pane e vin non mancavano), per non parlare poi del rischio della vita degli altri, cioè quelli a cui sottraeva il cibo con dolo e finanche violenza.

Immagino già stiate sorridendo per questa disinvolta lettura della storia, ma vi assicuro che, se le mie povere conoscenze linguistiche non mi hanno giocato qualche brutto tiro, a parlare di queste miserie, letteralmente, sono i due predetti biografi, entrambi monaci ed entrambi eruditi della lingua latina e della storia. A dire il vero del primo, Amato di Montecassino, la versione latina fu trascritta qualche secolo dopo in uno strano francese da un anonimo e giunta fino a noi attraverso i re di Francia. Da questo testo, non senza difficoltà, ho ricavato le notizie che sul Guiscardo scrisse il monaco cassinese.

Il fratello di Roberto -credo che si tratti di Umfredo anche se Amato non ne dice il nome- si vede arrivare questo baldo e vigoroso giovane che gli chiede se può dargli una mano nel cercare un po' di terra e farsi una posizione. Scusate se interrompo il racconto per una doverosa precisazione: tutto ciò che leggerete è una personale interpretazione degli eventi narrati da Amato di Montecassino, o meglio dal suo volgarizzatore francese. Capisco che una cosa simile non garantisce quel minimo di serietà che uno storico deve adottare nell'esposizione dei fatti, ma questa, come detto in premessa, è un'antistoria. In ogni caso per non passare per un calunniatore, nei casi più gravi, vi trascriverò letteralmente il testo originale. Continuiamo.

Dunque Umfredo pensa e ripensa, decide di andare ai confini con la Calabria (si trovava in Puglia), si guarda intorno e individua un 'mont moult fort', lo 'appareilla de laigname' e gli mette il nome di Rocca San Martino(1). Ora, come sempre accade quando un cronista scrive nomi di luoghi geografici esistenti a quel tempo, centinaia di studiosi si accaniscono ad individuarne le coordinate che nella maggior parte dei casi fanno coincidere con la città in cui vivono. Dove si trovi questa benedetta Roche Saint Martin non lo so, alcuni dicono che si tratti di Scribla, ma io vi dirò semplicemente che la diede al fratello Roberto, mettendolo -questa è la cosa più importante- 'en possession de toute Calabre' ! Poi senza nemmeno riposarsi se ne torna da dove era venuto: E puis se parti.

Ora, immaginate che un vostro fratello vi avesse regalato la torre di San Marco e tutta la regione Calabria, andandosene poi via senza nemmeno salutarvi. Che cosa avreste fatto? Gli avreste senz'altro gridato dietro: Ehi, aspetta, lasciami almeno qualche soldo e qualcosa da mangiare!, prima di vederlo scomparire all'orizzonte.

Ed è quello che fece Roberto. Si guardò nelle tasche e nella borsa: vuote! E da mangiare? Diede un'occhiata al cavallo, che era l'unica risorsa che gli restava, e con quello si fece un giro alla ricerca di qualcosa da mettere sotto i denti. Fortunatamente la carne non mancava 'solement qu'il avoit abundance de char', tra selvaggina e animali allo stato brado, come pure l'acqua 'l'aigue de la pure fontainne'. Insomma il povero Roberto, è il caso di dirlo, 'povreté est de la cose de vivre', in quella terra sterminata ricoperta di foreste, ricca di animali e di acqua di pure sorgenti, solo su quella rocca si sente come i figli di Israele nel deserto: 'coment li filz de Israel vesquirent en lo desert, ensi vivoit Robert en lo mont' !

Il paragone non è tra i più felici, visto che gli Ebrei erano stati cacciati dalla loro terra e lui, Roberto, ne possedeva una tutta sua, estesa per parecchi chilometri quadrati, e tutt'altro che deserta. Ma Roberto, all'epoca dei fatti ancora non si era fatto furbo, e quindi cosa fece? Ritornò dal fratello dicendogli in tutta sincerità, a rischio di essere preso a calci, che la Calabria non aveva dato i frutti sperati e quindi egli era povero: 'torna Robert à son frere et lui dist sa povreté'. Non solo povero, ma ridotto quasi pelle e ossa! (quar estoit molt maicre).

La visita al fratello non sortisce alcun effetto, tranne quello di convincere il nostro Guiscardo a far ritorno in Calabria e continuare ad arrangiarsi alla meno peggio. Abbandonando il peggio, cioè la sottrazione occulta di alimenti per la sopravvivenza agli abitanti del circondario, decide di trasformarsi in un ladrone senza scrupoli. Insomma da ladro di galline diventa brigante! et toutes les chozes qu'il avoit faites abscousement, maintenant fist manifestement.

Ma che cosa ruba? Buoi per arare la terra, giumente fattrici di buoni puledri, grossi maiali, pecore, in parte tenuti e in massima parte oggetto di estorsione in denaro. Trenta bisanzi d'oro sarebbero il ricavato di queste rapine. E per il fabbisogno alimentare quotidiano, non si pone scrupolo di sequestrare persone e di chiederne il riscatto in cambio di pane e vino! Roba da non credere. Amato di Montecassino non usa mezze parole che certamente dovevano corrispondere alla descrizione che ne fa il suo traduttore francese: Et autresi prenoit Robert li home, liquel se rachatarent de pain et de vin .

È a questo punto, secondo Amato, che Roberto compie il gran salto, quello che lo renderà noto in eterno per la sua astuzia e per quell'appellativo che gli resterà appiccicato come un secondo nome: Viscart, Guiscardo. Ma prima di passare a questa sensazionale impresa, è opportuno che io vi racconti ciò che un altro biografo del tempo, Goffredo Malaterra, anch'egli monaco benedettino, scrisse a proposito dei furti compiuti da Roberto dopo aver posto la sua roccaforte nella nostra città.

Entrambi gli argomenti, considerata la loro ampiezza, saranno trattati in una prossima puntata dell'antistoria. A presto.


(1) Roche Saint Martin. Il fatto che si tratti di un mont molt fort non corrisponde al luogo in cui sorge Scribla (o Stribula, Stridula con riferimento ad un convento di San'Antonio riportato dal Pratesi), una piccola collina in territorio di Spezzano Albanese. A San Marco esisteva un'antica chiesa di San Martino ubicata in una contrada denominata Pellara (I Piddrari), molto scoscesa, posta sul versante orientale del paese. La sua esistenza è attestata nella Platea delle monache di Santa Chiara di San Marco Argentano, redatta nel 1632: Intus dictam possessionem adsunt reliquie sive ruine ecclesiĉ S[anct]i Martini. Quindi doveva trattarsi di un edificio molto antico, visto che ne restavano solo le rovine. Inoltre, il luogo si affaccia sulla valle del Crati, poco distante dal territorio di Bisignano, che come vedremo, fu la città in cui il Guiscardo compì una delle sue epiche imprese.
C'è, però, un altro aspetto da tener presente. Il toponimo indicato da Amato di Montecassino è quello di un santo benefattore, raffigurato come un cavaliere che divide il suo mantello con un povero. Nella narrazione storica si parla di Roberto come di un povero alla ricerca di protezione da parte del conte suo fratello. Non è improbabile che il monaco cassinese abbia voluto accentuare questo aspetto ricorrendo ad un nome che anticipasse le deplorevoli azioni di Roberto in una visione cristiana.
E con quest'ultima nota vi ho spiegato anche perché ho scelto l'immagine in alto che introduce il mio racconto.



San Marco Argentano, 18 gennaio 2019

Paolo Chiaselotti


Bibliografia
L'HYSTOIRE DE LI NORMANT ET LA CRONIQUE DE ROBERT VISCART, par Aimé, moine de Mont-Cassin, pubbliées per la primière fois, d'après un manuscrit françoise inédit du XIII siècle, appartenant a la bibliothéque royale, pour la Société de l'Histoire de France, par M. Champollion-Figeac, [pubblicato] a Paris, chez Jules Renouard, Libraire de Société de l'Histoire de France, rue de Tournon, n.6, 1835 - digitalizzato da Books.Google


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