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DOPO IL CORONAVIRUS (Parte seconda)


Salvatore pedalava senza prendere fiato e in meno di mezzora era nel giardino delle villette a schiera dove abitava, era tutto bagnato dalla pioggia che da pochi minuti batteva l'asfalto e dietro alle sue spalle, sui monti, i lampi squarciavano l'oscurità ricamando lingue di fuoco sull'orizzonte scuro. Sotto il portico, al riparo del temporale, la mamma lo aspettava preoccupata e quando lo vide capì che era successo qualcosa di grave.
"Che cosa è successo? Mi hanno chiamato i genitori dei tuoi compagni e sono preoccupati, dove siete stati?" Salvatore non riusciva a parlare era in affanno e stava piegato con una mano su un fianco e un'altra tesa verso la mamma come per dirle aspetta fammi respirare. La pioggia cadeva violenta e un forte vento di scirocco fischiava minaccioso, i lampi a tratti illuminavano il vecchio paese muto sulla collina, e di seguito i tuoni fragorosi aprivano il petto del ragazzo che intanto aveva ripreso fiato avvolto in un accappatoio nel bagno di casa.
"Promettimi di non arrabbiarti mamma, giuramelo, giuramelo sulla memoria di papà". Il padre di Salvatore, anche se era giovane, non fu risparmiato dal virus, morì lasciando moglie e un figlio piccolino. La donna temprata al dolore mascherò bene la sua preoccupazione e, mostrando il miglior sorriso che aveva, rassicurò il ragazzo che iniziò il racconto e quando ebbe finito alzò lo sguardo verso la mamma che aveva gli occhi pieni di lacrime che tracimavano sul viso.
"Quindi Marco Piero Massimo e Samuele non sono tornati con te?" Poi guardò fisso il figliuolo negli occhi per capire se le avesse raccontato tutto e gli chiese: "Ma mi stai dicendo tutta la verità o mi nascondi qualcosa, perché se le cose stanno come dici bisogna avvisare tutti e chiamare la polizia."
Non passarono dieci minuti dopo aver avvisato i genitori degli altri ragazzi che suonarono alla porta.
Intanto nel vecchio centro storico le stradine erano diventate torrenti e la grata di accesso al cunicolo era sparita sotto un metro d'acqua. I ragazzi erano al sicuro nella vecchia pizzeria seduti a mangiare piccioni con contorno di coniglio.
"Mi sa che questa notte dovete dormire qui in pizzeria" disse il vecchio con la voce da nonnina, "È pericoloso uscire con questo tempo, le strade sono un torrente e il vento vola le tegole dai tetti come foglie secche."
Piero si fece coraggio e chiese a bocca piena al vecchio: "Come ti chiami?" Il vecchio fissò per un lunghissimo minuto in totale silenzio il ragazzo che rimase in apnea, poi con molta flemma tirò a sè una sedia e si sedette. Poggiò i gomiti sul tavolo, mise le mani a Vu e vi pose la testa come se non fosse sua. Le mani sparirono sotto la barba grigia folta ed ispida.
"Mi chiamavano Giovanni, ma sono tanti anni che nessuno mi chiama." Seguirono due minuti di silenzio. Solo il fischio del vento riempiva la sala, nessun fiato dalla bocca dei ragazzi che stavano battendo il record di Maiorca il famoso campione siracusano d'immersione in apnea.
Il vecchio era preoccupato e dispiaciuto per la situazione, aveva preso in ostaggio dei bambini che non avevano nessuna colpa e voleva rimediare. "Sentite sbarbatelli, se domani smette di piovere vi accompagno all'uscita così tornate a casa."
I ragazzi iniziarono a darsi pacche sulle spalle, abbracciarono il vecchio anche se puzzava e iniziarono a osannare nonno Giovanni. Piero gli passò un braccio intorno al collo e l'uomo, smarrito, si sciolse, mantenendo occultata la commozione sotto la folta barba. Poi gli occhi scuri si allagarono di lacrime, mentre le labbra iniziavano a vibrare sotto i baffi in assoluta anarchia: non riusciva a contenere l'emozione.
"Mi fai vedere la pistola?" chiese Samuele e il vecchio, come un nonno che vizia i nipotini, prese dalla tasca l'arma e la posò in mano al ragazzino.
"Ma non è vera, è di plastica. E pensare che mi stavo cagando sotto quando ci hai minacciato nella chiesa."

Intanto il povero Salvatore era sotto torchio; le domande venivano sparate a raffiche dalle mamme preoccupate " Ma come stanno? Perché siete andate lì? Vi ha fatto del male?" e senza aspettare risposta subentravano gli uomini: "Quante persone ci sono? Sono malati? Sono armati? Come sono fatti?"
Quando si calmarono Salvatore li invitò al silenzio e rispose a tutte le domanda in ordine come se le avesse appuntate in un taccuino: "Stanno tutti bene; siamo andati perché volevamo vedere da vicino la torre normanna. Non ci ha fatto del male anche se ci ha fatto paura: sono tre persone in una sola. Sembra che stia bene, anche se puzza un tantino. &Erave; armato ha una pistola; è alto con barba e capelli lunghi, grigi, occhi scuri e indossa vestiti logori, dentro di lui c'è una donna che la chiama Ersilia e un altro uomo che deve essere suo figlio."
Il papà di Samuele era vigile urbano e quando Salvatore disse della pistola, mise la mano sulla sua pistola d'ordinanza e strinse i denti talmente forte che se ne sentiva lo sfregamento.
Vennero fatti e disfatti piani d'intervento: chi voleva andare a casa a prendere il fucile e intervenire all'istante, incurante della tempesta in atto. Qualcuno suggerì di far intervenire le forze speciali con elicotteri e fucili di precisione con visori notturni. "Calma, calma! disse Salvatore. ":Vi siete dimenticati che quello è armato e mi ha detto chiaramente che se interveniva qualcuno avrebbe ucciso i miei amici o li avrebbe portati in un posto che non li avrebbero trovati neanche i segugi. Bisogna portargli l'uomo che gli ha ucciso la moglie e il figlio e sono sicuro che lascerà i miei amici: mi sembrava sincero." "Ma quale sincero, quello è pazzo la legare e poi non mi risulta che siano stati uccisi malati di COVID19 nel paese. In quel periodo le forze speciali hanno trovato solo cadaveri e li hanno bruciati per evitare il contagio. Ci vado io e gli dico che sono l'uomo che cerca, come cavolo si chiama quello, e quando vedo i ragazzi gli pianto una palla in fronte."

Intanto nella vecchia pizzeria l'aria festosa era in crescendo. Il vecchio Giovanni doveva tenere a freno la moglie e il figlio che volevano partecipare alla festicciola, che ormai era una festa d'addio, visto che l'indomani, tempo permettendo, avrebbe rilasciato i ragazzi.
"Domani ci porti a visitare la torre" disse Marco, che confessò la verità. "Siamo venuti in paese solo perché volevamo visitarla: è troppo bella, la sogno tutte le notti. Ma perché tutti quegli uccelli neri vi girano intorno?"
Il vecchio lo guardò bonariamente. "Sono le ciavole, parenti dei corvi. Sono le anime dei normanni morti nella torre" rispose sbruffando piano sotto la barba e abortendo un sorriso, cosa che non faceva da anni. "Se domani non piove, prima di accompagnarvi vi porto dentro la torre. Sulla torre!" Seguirono abbracci, ovazioni e pacche sulle spalle del vecchio Giovanni che si godeva il momento di gloria.
"Ma è vero quello che ci hai raccontato? tutte quelle persone che sono state uccise erano tuoi amici?" chiese Massimo sbadigliando come a voler camuffare la paura.
La mano del vecchio Giovanni iniziò a tremare, ma il fantasma della moglie lo calmò con un sorriso; l'uomo aveva gli occhi aperti ma non vedeva; per qualche secondo era entrato in un'altra dimensione.
"Li conoscevo tutti ma in particolare il prof che tutti chiamavamo Privissù; era una persona stimata da tutti. Quante chiacchierate su tutto e su niente, era un piacere ascoltarlo con la sua erre morbida." Due lacrime bagnarono la barba ispida e un nodo si attorcigliò tra lo stomaco e la gola.
"Vai avanti, raccontaci di quel giorno quando ... "
L'uomo alzò la mano come per dire aspetta, poi prese un bicchiere d'acqua che mandò giù per sciogliere quel maledetto nodo.
"Bene, la mattina del ventuno luglio ero salito in piazza e vidi il professore che stava sistemando la telecamera sull'inferriata del balcone. Privissù, gli dissi ma a chi vuoi filmare se non c'è rimasto nessuno! e lui rispose che sarebbero arrivati per liberarci dato che stavamo bene e voleva registrare l'evento. "Ma le batterie saranno scariche, come fai senza corrente? U Privissù mi guardò e sorridendo indicò un pannellino fotovoltaico che aveva montato sul tetto del palazzo. Mi fece cenno di non andare via ma di aspettarlo in piazza."
"Cagro Giovanni, quando vergranno, mi disse dal balcone con quella sua impossibile egrre ci tergranno sicugramente in quagrantena e ci fagranno tutti gli accegrtamenti, ma una volta finito dobbiamo ogrganizzare una festa qui in questa piazza intitolata a quello stgronzo di Umbegrto, tutti noi sopgravvissuti. Ci conto, adesso ti saluto devo avvisagre gli altgri, prepagragrli!, poi prese l'inseparabile macchina fotografica che portava appesa al collo, mi inquadrò, clic, e mi regalò un sorriso.
Verso le ore venti avevo raccolto dei pomodori dall'orticello e stavo andando a casa di Paolo -ecco ora ricordo, si chiamava Paolo come l'apostolo- allora dicevo, avevo raccolto i pomodori per portarglieli, ma prima di uscire dal vicolo che si immette in piazza Umberto, mi fermai perché avevo sentito delle strane voci. Erano entrati i militari e il prof in pompa magna andava loro incontro, mentre quelli gli intimavano di fermarsi puntandogli contro le armi.
Il prof con le mani alzate avanzava verso i militari: 'Rragazzi non schergziamo abbassate l'argtiglieria, qua stiamo tutti bene, fateci il tampone e ...' Ma uno dei militari, forse spaventato o per cattiveria schiacciò il grilletto del mitra, e con quel semplice gesto azionò il percussore: la morte uscì dalla canna dell'arma prendendo in pieno petto il mio amico che cadde a terra!
"
Il vecchio iniziò a singhiozzare e balbettare, poi ripresosi disse quasi dando un ordine: " Ora basta, si è fatto tardi. Trovatevi un giaciglio e cercate di dormire, domani sveglia all'alba, visita alla torre e poi rientro a casa!"

Verso le quattro del mattino le forze speciali, studiando la mappa del vecchio paese medioevale, avevano evidenziato, con un pennarello arancione, l'antica chiesa di Santa Maria, il sito dove presumibilmente dovevano essere rinchiusi i ragazzi. Progettavano l'intervento, maciò che uno proponeva gli altri lo bocciavano perché irrealizzabile o pericoloso per gli ostaggi.
Il capo era un giovane ufficiale, incapace di imporsi, che si faceva prevaricare dai suo sottoposti più anziani e più esperti di lui. Finalmente alle prime luci dell'alba decisero all'unanimità di risalire da dietro la vecchia cattedrale perché, dove un incendio l'anno pprima aveva bruciato la vegetazione fino alle absidi. Avrebbero dovuto fare solo una breve cordata nella parte retrostante la vecchia cripta normanna. Ripercorrere il passaggio del cunicolo che avevano fatto i ragazzi era impossibile in quanto tutti i corsi d'acqua erano gonfi e minacciosi per l'abbondante pioggia caduta nella notte.
Intanto il vecchio aveva svegliato i ragazzi. Per colazione diede loro delle colombre bianche e nere, fichi fioroni che aveva raccolto appena fuori dal locale in un vecchio giardino.
"Forza che ha smesso di piovere e il vento sta calando. Dai che vi porto sulla torre e per un giorno sarete Normanni" veri!"
Fuori la massa d'acqua, accumulatasi attraverso i tetti sfondati all'interno dei vecchi palazzi, si riversava sulle strade e nei vicoli. Per evitare i grossi rigagnoli bisognava saltare le zone in depressione: era un bel vedere i ragazzi in fila indiana andare su e giù come i martelletti di un pianoforte. Alla fine sbucarono in piazza Selvaggi, poi risalirono il corso fino a piazza Umberto.
"Questa è la piazza du Privissuri e là, proprio al centro, lo hanno ucciso. Lì dove ho piantato quella stele di arenaria.""
I ragazzi si disposero in cerchio attorno a quella lapide grezza e recitarono l'Eterno Riposo.
Massimo girò la testa: qualcosa aveva attirato la sua curiosità. "Ma quella non è la telecamera del prof?" chiese al vecchio indicandogli un arnese su un balcone. Il Vecchio fece un cenno di assenso con la testa e un amaro sorriso in parte occultato dalla barba.
I ragazzi con un cenno d'intesa, senza parlare, si accostarono ai tavolini del bar sottostante il balcone, li misero uno sopra l'altro, con una sedia di sopra. Non bastando per raggiungere il balcone uno di loro disse: "Nonno Giova', tu sei bello alto, la prendi quella telecamera?"
Il vecchio fece accostare altri tavoli, ancora una sedia e sistemò il tutto a scala, poi aiutato dai "nipotini" vi salì non senza difficoltà e con il bastone tirò giù la vecchia videocamera, prontamente recuperata al volo dai ragazzi.
"Se è intatta la memoria interna, forse avrà registrato i bastardi che gli hanno sparato", disse Piero, il tecnico del gruppo.
"Dai, muoviamoci, dobbiamo salire lassù " li spronò il vecchio, indicando la torre che da mille anni stava lì maestosa e omertosa testimone, circondata da ciavole chiassose. Si infilarono tutti tra le viuzze dell'antico quartiere del Casalicchio e quando sbucarono ai piedi della torre rimasero per qualche secondo a bocca aperta e naso in su ad ammirare i merli del monumento normanno attraversati da stracci di nuvole.
Arrivati alle scale che portavano al primo torrino i ragazzi federo a gara per arrivare primi. Una porta massiccia di castagno chiusa impedì loro di proseguire. Il vecchio da sotto li osservava divertito, poi con una mano fece cenno di scendere e di seguirlo.
Alla base del tronco di cono, occultata dal sambuco, c'era una porticina, bassa, socchiusa, nella quale il vecchio si infilò piegandosi e avvitandosi a causa dell'angusto passaggio. Quindi tirò fuori la torcia elettrica che gli aveva regalato Piero e gradino dopo gradino risalirono la scala a spirale arrivando al piano del rivellino.
"Questa è la motta... " disse il vecchio, quasi fosse un cicerone, indicando il rilevato da dove si ergeva il cilindro della torre. "Molto probabilmente era un insediamento romano, un accampamento, quindi molto più antico della torre ... " Salirono sul primo torrino dove c'era una passerella che portava al primo piano della torre, alta ventiquattro metri dal piano del rivellino fino ai merli. Visitarono le tre sale sotto la guida esperta del vecchio Giovanni e infine sbucarono in cima dove il vento correva veloce verso valle, la valle della radice, com'era chiamata per le radici di liquirizia che in passato venivano tirate a mano dai contadini e vendute alla fabbrica degli Amarelli di Rossano.
I ragazzi erano estasiati: si sentivano trasportati nel passato. Gli occhi chiusi, si sentivano come guardie armate che vigilavano scrutando a trecentosessanta gradi tutti gli accessi che portavano alla fortezza. Sotto si vedeva il fiume che scorreva nella vallata dove il nuovo paese si era insediato, più lontano, a nord, le montagne del Pettoruto, e a sud le verdi foreste dell'area del vento e del Monte Bucito, tra i quali scorreva il fiume Fullone.
Il vecchio Giovanni tirò fuori il suo vecchio binocolo, lo passò ai ragazzi e si sedette sopra il punto trigonometrico dell'Istituto Geografico Militare, fissato su un cubo di cemento, al centro della torre, quasi fosse lui il punto di riferimento del paese!
"Ma chi sono quelli? Ci sono altre persone in paese?" chiese Samuele indicando un punto sottostante.
Il vecchio gli prese il binocolo, guardò verso la cattedrale e scorse un gruppo di militari dall'aspetto e dai movimenti poco rassicuranti: probabilmente avevano avvistato quel gruppo di persone in cima alla torre.
"Quelli sono venuti per liberare voi e catturare me, o ammazzarmi addirittura! Aesso ascoltatemi bene: là c'è il convento di Sant'Antonio, e nella piazza c'è il cancello di una villa vicino a un monumento ai Caduti. Entrate nella villa, seguite il sentiero tra la vegetazione. Arriverete ad una chiesetta, la Benedetta, dietro c'è un muro in cui un incendio l'anno scorso ha lasciato scoperta una piccola breccia. Attraverso questa scendete verso valle e arriverete sulla vecchia strada provinciale e... " Non aveva finito di parlare quando si accorse che i ragazzi si erano persi.
"Questi sono indietro come le palle del bassotto imprecò non capiscono niente! Li butterei giù ... " Ma la moglie Ersilia, che era nella sua testa, lo invitò a calmarsi.
"Scusatemi, aggiunse calmandosi ma sono stanco di nascondermi e non voglio lasciarvi in mano a quella gente. Vi accompagneròo io fino alla Cappella della Benedetta, ma dovrete correre."
Scesero di corsa le scale fino alla Motta, si infilarono nel cunicolo con l'aiuto della torcia elettrica con cui il vecchio illuminava gli scalini e poi tutti fuori con passo spedito fino alla piazza della Riforma. Si infilarono nella villa al riparandosi nella fitta vegetazione alla vista de drone che volava sopra le loro teste.
"Ecco, qui c'è il pozzo del tempo. Una leggenda racconta che è un posto speciale, una sorta di macchina del tempo dicono i burloni. Quella cappella è la Benedetta. Adesso andate e non vi fermate."
I ragazzi abbracciarono il vecchio, stringendolo forte forte, tirandolo e attirandolo ognuno a Sè, quasi volessero portarlo con loro, senza mai lasciarlo. "Basta, adesso mi avete rotto li rimproverò. sparite altrimenti vi butto nel pozzo!" Due secondi dopo il vecchio li vide sparire tra gli alberi, restando di nuovo solo con i suoi fantasmi, poggiato al bordo del vecchio pozzo, mentre due lacrime raggiunsero l'acqua nera sul fondo.
"Eccolo" gridò dal cancello della villa il graduato puntando l'arma, mentre il puntino luminoso del laser di puntamento lo teneva sotto tiro. "Non muoverti, dove sono i ragazzi? Li hai ammazzati? Fermo non muoverti!" gridava minaccioso il graduato.
Senza riflettere il vecchio Giovanni salì sul bordo del pozzo, si lasciò cadere nel buio infinito e, mentre precipitava in quel budello, verso il basso, sentì l'anima staccarsi dal fondo dello stomaco, accarezzargli il cuore per po lasciarlo senza respiro. Poi niente. Il nulla.


L'aria profumava di caffè e una mano gentile gli scuoteva la spalla chiamandolo dolcemente. "Giova', Giova'. Ti è passata la sbronza? " Era Ersilia, la moglie, che gli aveva portato il caffè al letto.
"Sbronza?! non c'era né birra e né vino nella pizzeria, solo i soliti ragazzi chiassosi " rispose risentito Giovanni.
"Ma quale pizzeria, se abbiamo festeggiato a casa! Vino ne avete bevuto troppo con tuo figlio, lo hai fatto assaggiare anche a Giovannino per il suo compleanno e poi avete esagerato con il limoncello gelato. Non sei più un ragazzino. Beviti 'sto caffè e va' a farti una doccia" concluse Ersilia.

Il vecchio aprì gli occhi: era nel suo letto e di fronte, riflessa nello specchio dell'armadio, c'era la moglie Ersilia. Si sedette sul letto e si guardò nello specchio: nessuna barba lunga e nessuna ferita sulla fronte. Si alzò e tirò la moglie adagiandola sul letto, le accarezzò i bianchi capelli e la baciò sugli occhi verdi.
"Ti devo far bere più spesso se diventi così gentile. Di solito la mattina rispondi con un grugnito senza guardarmi, erano anni che non mi guardavi così" lo rimproverò dolcemente la moglie.

Quindi era un sogno, un incubo, pensava Giovanni, mentre l'acqua della doccia gli batteva sulla testa.
Mentre si radeva avvicinava la faccia allo specchio alla ricerca della ferita sulla fronte, ma non c'era nessuna cicatrice. Era molto confuso. La sera prima, alla festa del compleanno in famiglia, aveva esagerato, si era proprio azzifrignato, super sbronzato.

Indossò il vestito color sabbia sulla camicia bianca e il borsalino color panna. Entrò in cucina mandò giù un'altra tazza di caffè mentre la moglie lo guardava dolcemente turbata.
"Esco, salgo in paese, devo andare a trovare u Privissuri, Paolo, devo chiedergli se affresca il muro davanti casa, solo lui è in grado di dare anima al mio progetto. Deve dipingermi asini e contadini in carovana, e da trent'anni che glielo volevo chiedere ma non ne ho avuto mai occasione."
La moglie lo fissò e gli chiese ancora se avesse dei problemi. Lui gli sorrise e uscì.
La donna tornò alle sue faccende. Passando la scopa sotto al letto tirò fuori una lampadina di bicicletta: doveva essere caduta al nipotino la sera prima. Si affacciò alla finestra e richiamò il marito: "La mascherina, l'hai dimenticata. Ti fanno la multa" e gliela lanciò protetta da un sacchetto di plastica.

Giovanni parcheggiò l'auto in piazza San Francesco, a poche decine di metri cera la casa du Privissuru. Indossò la mascherina, suonò più volte al campanello, ma niente.
"U Privissuri è in piazza" gli disse una signora che stava venendo da Piazza Umberto, "Lo trovate là, sta aspettando i vigili urbani, è molto arrabbiato." Giovanni ringraziò la signora pettegola e senza chiedergli altro, per non restare bloccato dal gazzettino in gonna, si avviòverso la piazza. In fondo, vicino allo stretto di via Roma, c'era Paolo, agitatissimo, che in un tripudio di erre morbide parlava animatamente con i vigili urbani. Appena ebbe terminato di rincitrullire i due ragazzi in divisa, il prof si avviò verso la via XX settembre. Giovanni con passo svelto lo raggiunse, lo afferrò per un braccio e quando l'uomo si girò lo abbraccio forte come se fosse appena sbarcato da un piroscafo di emigranti rientrati dopo un lungo viaggio da terre lontane.
Paolo lo guardò leggermente basito perché Giovanni quando lo vedeva era solito alzare solatanto la mano in segno di saluto; in tanti anni mai una stretta di mano.
" Che c'è Giova'? oggi non è giogrnata, sono troppo incavolato. Vado a misurarmi la pressione."
Giovanni iniziò a balbettare. Era emozionato e strafelice di trovare l'amico in salute, lo aveva visto morire proprio in quella stessa piazza dove lui vi aveva piantato la lapide. Gli occhi cercavano il punto dove aveva messo ficcato la stele, ma c'era nessuna buca nell'asfalto. Avrebbe voluto raccontargli del sogno così reale, e poi parlargli del murale che voleva commissionargli, con i contadini e gli asini, ma l'unica cosa che riuscì a proferire fu: "Perché sei arrabbiato?"
Allora il professore lo prese per un braccio. Lo fece girare e lo portò sotto il balcone del palazzo.
"Non noti qualcosa d'insolito?" gli chiese indicandogli il balcone e, vedendo l'amico confuso aggiunse "Hanno grubato la telecamegra, questa notte. Si sono agrrampicati con dei tavolini del bagr e l'hanno staccata. Capisci? era là a testimoniagre la vita, un servizio per tutta la popolazione. Che bastagrdi!! "
Giovanni diventò talmente pallido da far preoccupare il prof che lo consolò: "Beh, in fondo egra una vecchia videocamegra di poco valogre. Non prendegrtela anche tu."
Giovanni si accostò alla fontanella della piazza, bevve un sorso d'acqua, quindi si rivolse al prof come ad un amico fidato: ":Paolo, tu ci credi alla leggenda del pozzo della Benedetta?"
Paolo lo fissò negli occhi, si guardò attorno con circospezione, poi gli chiese con un filo di speranza a bassa voce:
"Hai fatto il salto?!"

Giuseppe Lento

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