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ORE DISPERATE


Racconto di vita vissuta di Giancarlo Chianelli



Battesimo in campagna Bisogna risalire al gennaio 1983.
Era una serata piovosa, ma non eccessivamente fredda, eravamo nel periodo in cui ogni famiglia era alle prese con la tradizionale uccisione del maiale, a quei tempi assai diffusa.
I protagonisti della vicenda sono mio padre, sua sorella con il marito e un nipote diretto. Per alcuni versi la storia ha dei risvolti ridicoli, drammatici e imprevedibili che, per una concatenazione di eventi, provocarono un vero e proprio allarme non solo nelle famiglie coinvolte, ma nel vicinato prima e tra la popolazione in seguito.

Questo è il susseguirsi dei fatti da me vissuti direttamente in quella triste nottata che travolse la naturale spensieratezza dei miei diciotto anni.
Mia zia Rosaria si trovava a Tarsia ad aiutare la consuocera nell'insaccatura del maiale. Dopo una giornataccia di duro lavoro sarebbe dovuta rientrare a fine serata. A riportarla a casa era stato incaricato mio cugino Ernesto, fresco di macchina e di patente, il quale, prima di partire per Tarsia, si fermò in contrada Spinetto, dove la zia abitava, per portare con sé il marito, zio Ernesto (pace all'anima sua, ma buon compagno del vino), già mezzo ubriaco. I due passarono anche da casa nostra e proposero a mio padre di unirsi a loro. Mio padre, poco propenso a lasciare il caminetto vista la serata da lupi, dopo tante insistenze cedette alle suppliche di cognato e nipote, ma ad una condizione: che sarebbero rientrati per le 20 e 30 ora in cui iniziava un film western di cui mio padre era un vero appassionato.
Partirono in direzione di Tarsia.
Noi cenammo e guardammo la tv fino a tarda serata, in attesa del loro rientro, che tardava a venire. Tuttavia eravamo sicuri che il ritardo fosse dovuto alle abitudini, che ben conoscevamo, della famiglia tarsiana: gli ospiti dovevano rimanere a cena e poi farsi una partita a carte.
Alla fine, data l'ora, andammo a letto.
Dormivamo tutti profondamente, quando, ad un tratto, le grida di mia madre ci svegliarono di soprassalto. Era da poco passata l'una di notte. Venne dapprima in camera mia e dopo in quella di mia sorella e, passando da una camera all'altra, ripeteva in modo ossessivo: "Vostro padre non è rientrato! Vostro padre non è rientrato! Vostro padre non è rientrato! "
Subito mia sorella maggiore si attaccò al telefono -non esistevano i benedetti cellulari- per chiamare la famiglia dove avevano trascorso la serata. Nell'attesa, mia madre ripeteva disperata che non era abitudine di nostro padre non rispettare l'ora di rientro e che, quindi, era successo qualcosa di grave. Di molto grave.
La risposta fu che mio padre, gli zii e mio cugino erano partiti prima delle ventuno.
Vi lascio immaginare lo strazio di mia madre e la nostra impotenza di fronte ad un fatto tanto grave.
Fu chiamato uno zio motorizzato, un altro zio e un terzo ancora. Si piangeva, si sperava, si imprecava. Il vicinato si era svegliato. Si erano accese le luci e iniziarono le ricerche.
Noi ragazzi a casa, in compagnia dei più anziani, ad aspettare notizie tra ansia e sconforto. Ricordo che il rumore violento dei pluviali che sbruffavano acqua rendeva tutto più tragico e anticipava qualcosa di funesto.


Rientravano i primi veicoli con i familiari al seguito: i loro singhiozzi confermavano che non c'era nulla di nuovo. Alcuni proponevano percorsi nuovi, altri davano speranza ipotizzando un cambiamento di programma del gruppo disperso, ma nulla, niente che potesse rientrare nella logica delle aspettative.
Alla fine fu chiamata l'Arma dei Carabinieri, i quali, dopo interrogativi, riflessioni e ricerche a vuoto, alle luci dell'alba decretarono che l'auto fosse finita nel bacino della diga di Tarsia! A meno che ... uno di loro avanzò il sospetto di un fuga per motivi ignoti! L'ira di mio zio Antonio e le grida di dolore e rabbia di moglie, madre e figli, fecero cadere questa ipotesi inverosimile!
Ma, allora, che fine avevano fatto i quattro? Possibile che non si riuscivano a trovare né macchina, né persone?! L'ipotesi che fossero precipitati nella diga metteva i brividi, ma forse era l'unica spiegazione possibile!

Invece ...
Coloro che conoscono le famiglie coinvolte e la loro disavventura, sanno che la storia ebbe, fortunatamente, un fine lieto, anche se, in qualche modo, tragicomico.
A tutti gli altri devo spiegare che durante il tragitto di ritorno, il giovane autista, a causa del maltempo e dell'inesperienza, sbagliò strada.
Lo zio Ernesto, completamente sbronzo, lo rassicurava dicendogli che avrebbero comunque raggiunto la Cantina di Tarsia e da lì sarebbero arrivati sulla strada maestra.
Non andò proprio così.
L'auto finì in una grossa pozza d'acqua e il motore si spense.
In una strada deserta, al buio, sotto un diluvio incessante, senza alcuna possibilità di incontrare alcuno, tra bestemmie e imprecazioni, dopo inutili tentativi di rimettere in moto la macchina, decisero di trascorrere lì la notte.
Alle prime luci del mattino scorsero una luce lontana. Decisero di raggiungere a piedi quell'ancora di salvezza.
Era la casa di un frantoiano che, dopo averli rincuorati, con il suo trattore rimorchiò l'auto, con a bordo i ... sopravvissuti, fino alla strada principale, dove una folla di gente da ore impegnata in incessanti ricerche li accolse come eroi al rientro da un conflitto!

Arrivarono a casa verso le nove di mattina tra i pianti di gioia dei puri di cuore e le bestemmie (credo che siano stati elencati tutti i Santi del calendario) di quelli che li avevano già dati per spacciati!

Vi posso assicurare che per lungo tempo, quando si faceva il nome di uno di loro, la gente chiedeva con ironia: "Chini? Chiru ca s'era persu a Tarsia?!"


Giancarlo Chianelli


La foto in alto, scattata in occasione di un battesimo, non ha nulla a che vedere con il racconto, ma serve solo a dare un'idea delle folte schiere di parenti, amici, compari e vicini che negli anni del racconto formavano una comunità solidale e partecipe di ogni evento.
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