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LA FERMATA DEL POSTALE


Questa volta, invece di una storia, voglio provare a raccontare una foto. Anche se può sembrarvi strano, in quanto un'immagine dovrebbe raccontarsi da sé, l'idea che i protagonisti di una particolare giornata di quasi un secolo fa possano lasciare solo un vago ricordo e che questa bella e ricca immagine possa un domani andare perduta, mi riempie di tristezza.
Guardateli ad uno ad uno questi personaggi così diversi tra loro, tutti intenti a guardare a loro volta nella nostra direzione.
Nessuno di noi era dietro l'obiettivo eppure i loro sguardi sono tutti puntati su di noi, quasi fossimo noi, ognuno di noi, l'oggetto del loro interesse.
Sarà per questo che fin dall'antichità i ritratti di persone i cui occhi sembravano seguire l'osservatore nel suo spostamento destavano inquietudine e meraviglia.

A sinistra, in primo piano, c'è un ragazzo con un copricapo che forse un tempo sarà appartenuto ad un adulto, o forse ad una signora. Per lui, ragazzo di strada, non fa differenza. Tutti i maschi dovevano avere un cappello o un berretto, sotto il quale tenere a bada i propri pidocchi, e da quello sgualcito e mal'acconciato sulla testa del giovane spuntano gli occhi ben aperti, pronti a sfidare chiunque voglia toglierlo dalla sua posizione privilegiata.
Salto e scruto a caso i presenti, come loro scrutano me. C'è un signore con i baffi e con una cravatta a righe seduto nella corriera: la posizione delle mani dà l'impressione che, quasi indispettito dalla nostra curiosità, sia in procinto di sporgersi dal finestrino per cacciarci via.
E quello dietro, al penultimo posto, con la paglietta chiara che fa risaltare la sua pelle arrossata e tesa come quella di un tamburo, chi sarà? Ha l'aria di un massaro.
La signora che tiene in braccio il suo bambino o la sua bambina, non è interessata a noi, ma a qualcuno o qualcosa che si trova all'interno della corriera. Non è nobile, né gentildonna, perché non sarebbe mai salita da sola su una corriera e nel caso che fosse accompagnata non si sarebbe mai seduta dal lato del finestrino. Credetemi. Ha un nastro al collo, probabilmente con un piccolo cammeo o una foto ricordo di un famigliare. Ha un naso aggraziato e indossa un abito particolare. Che ci fa sul postale una donna sola con il suo neonato?
In quegli anni stare lì su un mezzo pubblico, in mezzo a tanti uomini, richiedeva una buona dose di coraggio. O una indiscutibile autorità che poteva essere data o da una posizione sociale privilegiata o, cosa più probabile, dal semplice fatto di essere una contadina. Vi sembrerà strano ma erano proprio loro le donne più evolute, quelle che non avevano obblighi sociali a cui sottostare. E c'è anche un'altra donna sul mezzo pubblico, seduta davanti, sul lato del guidatore, anch'essa con un bambino. Metà del suo volto è in ombra, ma dall'altra metà si intuiscono un bell'ovale e le labbra pronunciate. Al posto di guida c'è un uomo anziano con la lobbia e il sigaro tra le dita. Non è l'autista del mezzo -che poi vedremo chi è- , ma forse un maestro di scuola, o un proprietario terriero, o uno dei tanti benestanti che negli atti dello stato civile venivano indicati sotto la voce "vive del suo", ovvero chi campava senza lavorare del frutto dei propri averi.
Belle figure, tanto da lasciarci il dubbio che allora tutti stessero bene. Bastava, però, che il postale si fermasse, per una sosta, per un guasto al motore, per la coincidenza con un altro postale, ed ecco che intorno ai più fortunati si accalcava una piccola folla di ragazzi, di curiosi, di accattoni, pronti a ricavare da quel mostro metallico un piccolo beneficio o almeno un momento di quotidiana diversità.
A volte per qualcuno la presenza in mezzo ad altri si accompagnava ad un senso di vergogna per la mancanza di qualcosa che gli altri avevano. È il caso del bambino con il calzone bucato e rappezzato con un tessuto diverso, che a malappena copre la parte lacera. La camicia sudicia con i polsini aperti, certamente perché privati dei bottoni, il gilé abbottonato e il berretto alla bolscevica calato sugli occhi lo renderebbero quasi simile agli altri ragazzi del tempo, se non fosse per i piedi scalzi con le dita che sembrano far presa sul terreno sassoso. Ci guarda, mettendosi tra i denti qualcosa che sopperisce al bisogno di tutto, forse un pezzetto di legno.
Erano gli anni in cui si stava bene. A detta di chi mi ha inviato la foto pare che fosse il millenovecentoventidue. Sulla parte anteriore della corriera leggiamo la targa con la scritta SERVIZIO PUBBLICO e il percoso: COSENZA SAN MARCO ARGENTANO. Il cofano del motore dell'automezzo è stato sollevato lateralmente per qualche intervento. Sul lato destro, con i piedi sull'asse delle ruote anteriori, c'è un operaio con i calzoni che gli arrivano fino al petto, trattenuti da bretelle; ha in mano qualcosa che serve all'avvio o alla manutenzione del motore. Dietro di lui appena distinguibili, due volti e sullo sfondo un intrico di rami e foglie di un boschetto.
Il fotografo, che probabilmente viaggiava su quel mezzo, approfittando della sosta scattò la foto. Non sappiamo chi fosse, né dove sia avvenuta la fermata, ma l'occasione, come sempre accade quando si ferma un attimo del nostro cammino, sarà certamente apparsa come un regalo inaspettato.
Continuiamo a scoprire chi contribuì a lasciarci questo dono. Il signore, intento a controllare lo stato del motore, colto mentre si gira verso di noi -quasi contrariato dall'intrusione- dovrebbe essere l'autista, appartenente alla famiglia De Pietro, una storica famiglia di San Marco, e quello a fianco un suo fratello. Il fazzoletto che gli esce dal taschino, la cravatta, il cappello appoggiato con noncuranza sul muso della macchina, ci fanno supporre che svolgesse funzioni di bigliettaio, ma non ne siamo certi. Nè sappiamo chi sia l'altro uomo con i baffi, con il volto ancora più arcigno del primo, con un completo chiaro.
Ma la figura forse più curiosa tra tutte è quell'uomo di mezza età con cappello e un sigaro in bocca, che apparentemente si abbassa fino ad appoggiare il mento sulla spalla di un ragazzotto, vestito da ometto, tenendo una mano sulla spalla di lui e l'altra su quella di una donna. Sembra quasi che stia scherzando fingendosi ubriaco!
Il giovane è troppo attento a mostrare il suo abbigliamento da adulto: una bella camicia bianca su cui spicca una vistosa cravatta e in testa un berretto dalla foggia irlandese con ampia cupola schiacciata sulla visiera. Ha un modo di atteggiarsi un po' malandrino, con le mani che afferrano i due capi delle bretelle che gli spuntano da sotto la giacca. La donna ha un abbigliamente estremamente povero: una camiciola pesante su cui spiccano due strisce di stoffa scura, probabile sostegno di un grembiule. In testa un fazzoletto scuro che cade sulle spalle e lascia intravedere sul davanti un po' di capelli tirati ai lati della fronte. Il volto affilato appare giovane e intriso di curiosità. Tiene per la spalle una bambina con il capo chinato per il sole o per vergogna.
In mezzo a questa umanità ci sono altri giovani: uno che si nasconde il volto con un cencio scuro, vestito con un completo di qualche taglia superiore alla sua, e sul lato opposto un altro ragazzo con un abito di velluto con panciotto e berretto calato sugli occhi per proteggerli dal sole. L'ora poteva essere pressappoco prossima al mezzogiorno.
In mezzo a questo gruppo di persone, e vicino ad un cumulo di pietrisco per fondi stradali, c'è un altro giovane, ben vestito, con la cravatta, appoggiato al manubrio di una bicicletta di cui si intravede solo la ruota.

Bene, la carellata dei personaggi che ci ha osservato con pazienza sarebbe finita, se non fosse per una figura che definirei quasi felliniana, collocata in fondo, sul lato sinistro della foto, dietro il gruppo di persone appena descritte. È il volto di un giovane con un cappello nero a tesa larga sollevato sulla fronte, che sorride quasi voglia prendersi gioco non solo di chi lo ha ripreso, ma anche di me, del mio racconto e di quanti come me pensano che anche le foto abbiano un'anima.

San Marco Argentano, 12 gennaio 2021

Paolo Chiaselotti
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