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ACCADDE OGGI - RICORRENZE DI EVENTI ACCADUTI


ERA L' 11 LUGLIO 1856 ...



In questo giorno dell'anno milleottocinquantasei -c'era ancora il governo borbone e il consiglio comunale si chiamava decurionato- gli amministratori dell'epoca furono chiamati per decidere in merito alla rinuncia di una quota demaniale.
Non tutti sanno che cosa sia una quota demaniale e forse sarebbe opportuno spiegarlo, ma lo faremo in seguito, per il momento basti sapere che si trattava di un piccolissimo appezzamento di terreno.
A rinunciare era una vedova, Raffaela Giordano, della quale sappiamo vita, morte e miracoli, per usare un'espressione ormai logora, anche se di miracoli non potremmo parlare.
Vi chiederete come io sappia tutte queste cose. Ebbene voglio interrompere per un solo istante la ricorrenza, per dirvi, papale, papale, che anche voi potreste saperle: basta che vi rechiate all'archivio di stato di Cosenza e vi mettiate a spulciare vecchi fascicoli, a volte illegibili, a volte talmente invecchiati da farvi desistere dopo poco da questa fatica.
Ancora un secondo: queste vecchie cartacce, non sono la mia storia, bensì la vostra, e quando si perderanno, o se ne perderà la memoria, voi non avrete futuro. Vi sembrerà strano, ma le cose stanno proprio così.
Torniamo alla storiella.
È opportuno che vi dica qualcosa di Raffaella. Era la secondogenita di Salvatore, speziale e pittore, e di Vittoria Fragale. Il primogenito, orgoglio di casa Giordano, si chiamava Giuseppe, anch'egli pittore come il padre, Rosina e Teresina altre due sorelle, e di seguito Felice, Leonilda, Camillo e Michelina, tutti nati a Cetraro.
La regola, se di regola si può parlare, a quel tempo erano rispettata: a sposarsi erano chiamati in ordine di nascita. Giuseppe, poco più che ventenne, godette dell'amplesso precoce di una quattordicenne, condividendo con lei amore, speranze e otto figli. Ma quando venne il turno di Raffaela, la regola non valse e si vide sorpassata nel traguardo nuziale da Teresina. Dovette attendere due anni, il tempo di un corredo, per poter apprezzare con un uomo i tramonti montani. Più grande di lei di vari anni, oggi diremmo maturo, allora prossimo a diventar vecchio, non ebbe il tempo di godere della famiglia quanto avrebbe desiderato: lasciò casa e vita due anni dopo la nascita del terzo figlio. Il nome, Bruno Granito, faceva presagire ben altra durata. Sarto con casa e bottega alla Motta, aveva appreso dal padre, agrimensore, anche qualche nozione di scienze agrarie, o quanto meno di coltivazione del terreno. Ebbe occasione di applicarla ad un piccolo appezzamento che il comune gli aveva assegnato in contrada Fraccicco. I frutti del sapere e del fare, detratto il corrispettivo da pagare al comune, servivano a mantenere con maggior dignità moglie e figli. Niente di più. Fraccicco era lontana, e c'era bisogno di qualcuno che se ne occupasse: un colono. Si trattava di povera gente che in quel pur minimo spazio coltivabile ricavava un pagliaio per dimorarvi e il sostentamento quotidiano per sè e tutta la famiglia, quasi sempre più numerosa di quella del padrone assegnatario. Insomma esistenza e sopravvivenza del colono dipendevano entrambe dalle possibilità economiche di don Bruno: più lavoro avrebbe svolto come sarto meno attenzione avrebbe rivolto alla terra, dando al povero colono la possibilità di lucrare -anche la miseria ha qualche opportunità- qualcosa di più del dovuto. Non c'era, in verità, nessun dovere, nè alcun diritto, era solo arbitrio. Il comune, concessionario del diritto d'uso, si disinteressava di terreno e persone, di soprusi e diritti, purché il bene assegnato, tremilatrecentotrentotto metri quadrati, fosse pagato annualmente, o all'inizio dell'anno o a fine raccolto.
Alla morte di Bruno, Raffaela Giordano, si trovò con tre figli minori, gli strumenti di lavoro del defunto, una casa e quella quota demaniale a Fraccicco. La bonanima ci teneva così tanto ed era l'unica risorsa che Bruno Granito le avesse lasciato, oltre la forbice che rimase inutilmente appesa al muro.
Donna Raffaela non ce la faceva più, troppe mani cercavano in quel po' di terra qualche pastinaca che calmasse i morsi della fame e le unghie di uno penetravano nelle carni dell'altro, lasciando ferite più profonde della fame stessa. Da Fraccicco arrivava sempre meno: donna Raffaela se la prendeva col colono e quest'ultimo con la propria moglie, i figli e il padreterno.
Un morbo ancora sconosciuto si intromise scelleratamente nei contrasti, prendendosi Peppino Granito, il secondogenito, di dodici anni. Il raccolto fu scarso, più scarso degli altri anni, e il colera aveva fatto la sua parte, quando don Giuseppe (il nome è di fantasia) bussò alla porta di Raffaella Giordano. Quando ne uscì sul tavolo c'erano i soldi del censo annuo non pagato per la terra di Fraccicco, l'equivalente di una stagione propizia, e qualcosa ancora con cui vivere in tranquillità per almeno due anni.
La mattina successiva, l'11 luglio del 1856, Raffaela Giordano vedova Granito, ascoltando i buoni consigli di don Giuseppe, espresse formale rinuncia al decurionato di Sammarco della propria quota demaniale in località Fraccicco.
La domanda fu benevolmente accolta.

San Marco Argentano 11 luglio 2017

Paolo Chiaselotti

Il feudalesimo, abolito ad iniziare dal 1806, si riproponeva in forme diverse ma sostanzialmente simili: i beni demaniali, frazionati in piccole quote, venivano dati in uso oneroso. I quotisti, a loro volta, le facevano coltivare a contadini che da queste ricavavano il sostentamento. La loro prole era manodopera a basso costo. I ristretti limiti poderali comportavano anche una breve durata dello sfruttamento. Le quote venivano allora abbandonate o cedute. Chi amministrava e chi aveva più potere ne faceva incetta. Il tempo e la mano dell'uomo provvedevano a cancellare i documenti che ne attestavano l'origine demaniale. Chi ne aveva fatto illecito usufrutto ne diventava proprietario di fatto. Provvedeva in seguito a vendere le stesse quote come proprie ad ignari acquirenti, i quali diventavano proprietari, finalmente, di ... niente. Forse ciò spiega la ricchezza e la coloritura delle imprecazioni dialettali rivolte a vivi e defunti.
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