IL 24 GIUGNO NASCEVA GIOVANNI ... 
                            
                            
                        
                        
                        
                        
                        Era il 24 giugno quando nacque Giovanni, oltre duemila anni addietro, e oggi in
                        tutto il mondo cristiano si festeggia la sua nascita. Tutti si chiederanno che cosa
                        c'entra questa ricorrenza con San Marco Argentano, o con uno dei nomi con cui gli
                        storici hanno voluto chiamare l'insediamento umano di cui noi siamo indegni custodi
                        o improbabili discendenti: 
Argentanum, Marcopoli, Castrum Sancti Marci. C'entra
                        nella misura in cui testimonianze di vario genere collegano la storia dei nostri
                        luoghi alla venerazione di questo salvifico messaggero eremita.
                        Premetto che sono la persona meno adatta a parlare di lui sotto il profilo storico
                        e religioso e aggiungo, prima ancora che continuiate a leggere, inattendibile sotto
                        ogni aspetto, però non sono immune dal vizio di ficcare il naso in cose che
                        non mi riguardano e sono presuntuoso quanto basta ad esternare impunemente il mio
                        pensiero.
                        Tanto premesso, entro subito in argomento, notando che quest'uomo è festeggiato
                        per la sua nascita, cioè per la sua venuta al mondo, al contrario di tutti
                        gli altri santi ricordati nella data della loro morte, o per meglio dire, della
                        loro ascesa al cielo.
                        La mia non è irriverenza, ma solo l'osservazione di un povero diavolo alle
                        prese con il dilemma della vita. Fatto sta che questo povero diavolo per scelta
                        e per caso vive nei luoghi in cui vi sono tracce vistose della misteriosa figura
                        di Giovanni.
                        Non sono l'unico, né il primo ad averle scoperte, perché ad esempio
                        un tal Emmanuele Conti in un suo libro sulla storia della nostra città parla
                        della chiesa di San Giovanni, sconosciuta alla maggior parte degli attuali abitanti.
                        Maggiormente sconosciuta nella definizione completa che ne dà lo storico
                        Conti: San Giovanni degli Amalfitani.
                        Se oggi digitate su Google questo nome, vi comparirà come prima voce "Monumenti
                        - San Marco Argentano". Bella soddifazione, vero?, pensare di essere gli unici
                        ad avere una chiesa intitolata da un santo così esclusivo. Don Emmanuele
                        Conti -non era un sacerdote, ma tutti lo chiamavano così per rispetto- non
                        si è inventato alcun santo indigeno, bensì ha tratto la definizione
                        da un antico documento notarile del 1209 riguardante la vendita di un piccolo casale
                        prossimo a tale chiesa.
                        Perché questo documento è così importante? O per meglio dire,
                        perchè lo storico ritiene importante citare per intero la denominazione della
                        chiesa, e perchè di conseguenza io oggi ne parlo, al di là della ricorrenza
                        del giorno della nascita?
                        Perché nel mentre lo storico dà per scontato che spiegare il legame
                        tra San Giovanni e gli Amalfitani è superfluo, il curioso o ficcanaso quale
                        io sono, ignorando quello che tutti sanno, naviga su Internet e si imbatte, guarda
                        caso, in cose di mare. Che c'entra adesso il mare con San Marco? vi chiederete.
                        Lasciamo per un attimo senza risposta questa domanda ed entriamo nella chiesa di
                        Sant'Antonio, alla Riforma. Nella cappella del Santo, a sinistra dell'ingresso,
                        vi è appeso un quadro con due donne che si abbracciano, un vecchio che trascina
                        un sacco, un altro vecchio sul fondo con uno strano copricapo. Ai lati un arcangelo
                        che pugnala un demone-drago e un francescano. In basso lo stemma araldico del commitente
                        del dipinto: due colonne incrociate e due rose.
                        Se non fosse stato per l'ottimo prof. Luca Vivona, direttore di una prestigiosa
                        rivista d'arte, non avrei capito affatto il significato della tela. Mi spiegò
                        che si trattava di una copia reinterpretata della Visitazione di un pittore ben
                        più noto del nostro modesto autore.
                        La Visitazione è la visita che la futura madre di Gesù fece alla cugina
                        Elisabetta quando seppe che lei era incinta di Giovanni.
                        
                        Finora abbiamo il nome di una chiesa e un quadro ad attestare una qualche devozione
                        nei confronti di Giovanni a San Marco. C'è però lo stemma araldico
                        della famiglia committente: da un'indagine sulle nobili famiglie sammarchesi un rettore
                        del convento, padre Salvatore, scoprì che si trattava della famiglia Majorana,
                        oggi scomparsa ma presente fino al Seicento e forse inizi Settecento.
                        Tra i vari membri di questo illustre casato, con vaste proprietà e case palaziate,
                        ve ne furono almeno due chiamati "fratelli": fra Orazio e fra Cicco (donde
                        il nome di una contrada), cioè cavalieri. Questo appellativo, come ormai
                        decine di film, libri, opuscoli hanno divulgato con figure quasi leggendarie, era
                        attribuito agli appartenenti ad una delle tante confraternite religiose nate secoli
                        prima con scopi diversi.
                        San Marco Argentano è scherzosamente definito nei centri viciniori il "paese
                        dei nobili", questo perchè le famiglie che vi abitavano e alcune che
                        ancora vi hanno dimora discendono da illustri casati. Talvolta per gusto di ripicca
                        sociale si tende a sminuire questa o quella discendenza, giudicando il titolo di
                        barone o altro frutto di fantasia o, peggio, di acquisto disinvolto. Non voglio
                        entrare in una disputa del genere, anche perchè alcuni di coloro che mi hanno
                        messo a disposizione preziosi documenti d'archivio di indubbia autenticità
                        potrebbero ancor più avvalorare la mia inaffidabilità storica. Sta
                        di fatto che il dott. Giorgio Selvaggi, figura prestigiosa quanto persona modesta,
                        conserva nell'archivio di famiglia i memoriali di una delle più potenti congregazioni
                        religiose locali, quella dell'Immacolata, risalente a fine Cinquecento e primissimi
                        anni del Seicento, sui quali oltre ai nomi dei vari "fratelli", alle rendicontazioni
                        delle entrate e delle spese, ciò che più colpisce è l'annotazione
                        ricorrente del 24 giugno indicata come data della nascita del precursore di Cristo,
                        ma soprattutto il trasferimento dalla sede della congregazione dalla chiesa di Santa
                        Caterina d'Alessandria in quella del glorioso San Giovanni Battista, restaurata
                        allo scopo con offerte di fratelli e fedeli.
                        
                        Ritornando all'intestazione della chiesa come essa appare nel documento del 1209
                        la congregazione dell'Immacolata occupa la sede che fu di altri cavalieri: i cosiddetti
                        gerosolimitani o di Gerusalemme. Chi erano questi e cosa c'entrava Amalfi? Questa
                        era la più meridionale delle quattro più note Repubbliche marinare,
                        che estendeva le sue influenze marittime sulle coste campane calabresi pugliesi
                        e siciliane e su quelle dell'Africa e dei paesi medio-orientali. Amalfi, inoltre,
                        aveva i suoi traffici interni nei territori anzidetti, tra i quali Cosenza, Bisignano
                        e San Marco. La bandiera di Amalfi era la cosiddetta croce di San Giovanni, e amalfitani
                        erano i monaci che costruirono in Terra Santa il primo ospedale dei pellegrini.
                        Ecco perchè la chiesa fu intitolata a San Giovanni: perchè essa fu
                        il luogo di devozione verso il santo anticipatore del cristianesimo nonchè
                        sede degli ospitalieri di San Giovanni.
                        La nascita dei cavalieri di Malta e lo spostamente dei centri di interesse in pieno
                        mediterraneo non fece cessare il ricordo dell'organizzazione cavalleresca che si
                        trasformò in congregazione dell'Immacolata avente la sua sede nell'antica
                        chiesa gerosolimitana.
                        L'antico tempio con tutto ciò che vi gravitava intorno, dal suo sorgere -fu
                        costruita nel XII secolo- fino al secolo scorso, quando si pensò di trasformarlo
                        in un imponente mausoleo dedicato ai caduti della prima guerra mondiale, ha conservato
                        sempre un'aria di mistero e di fascino, racchiuso com'è tra due edifici
                        che rappresentano l'antica nobiltà locale: palazzo Selvaggi e palazzo Valentoni,
                        e prospiciente una piazza così squadrata da indurre a immaginarvi antichi
                        cerimoniali cavallereschi.
                        
                        In questo edificio e dalla sopracitata congrega, ai cui adepti era imposta osservanza
                        "
ad unguem", fu decisa la fondazione del monastero delle suore
                        di Santa Chiara, onde sottrarre, vita natural durante, le nobili eredi di cospicui
                        patrimoni al perverso potere del danaro.
                        
                        Ritornando con il pensiero al quadro della Riforma con cui ho iniziato questa mia
                        divagazione, l'abbraccio delle due donne, Maria ed Elisabetta, mi sembra così
                        gravido di reciproca comprensione per la consapevolezza dell'onere che andranno
                        ad assumersi, da indurmi a riflettere, in questo particolare giorno, sui 
                        misteriosi percorsi della vita.
 
                        Lasciamo stare: son cose da far perdere la testa.
                        
                        Paolo Chiaselotti