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ACCADDE OGGI - RICORRENZE DI EVENTI ACCADUTI


PAOLOTTI CONTRO CLARISSE.



Detta così sembra una partita di calcio tra monaci e monache. Molto improbabile, anche perché all'epoca in cui si sarebbe dovuta svolgere, il gioco del calcio non era in voga e certamente non sarebbe stato ammesso, qualunque ne fosse il fine, dalle autorità ecclesiastiche. In ogni caso di trattò di un vero e proprio match che si svolse con le armi appropriate e nei modi che i costumi del tempo ritenevano accettabili in uno scontro tra religiosi di sesso opposto.
Vediamo quando, dove e perchè i due ordini si contrapposero. Siamo nel luogo che la tradizione vuole attraversato dall'apostolo Pietro e dall'evangelista Marco, quest'ultimo impegnato a lasciar il segno più tangibile del suo passaggio: il battesimo di coloro che saranno ricordati con l'appellativo di martiri argentanesi.
Sono passati quasi tredici secoli da quell'evento quando un nuovo fervore alimenta l'animo di varie famiglie decise a dare concreta testimonianza della loro fede spingendo ad abbracciare o abbracciando direttamente la vita monastica. Quasi negli stessi anni nascono a San Marco due monasteri: quello delle Scalze di Santa Chiara e quello dei Minimi di San Francesco di Paola. Entrambi fondati con cospicue donazioni di terre e denari da parte di alcune delle famiglie più ricche e prestigiose della nostra terra.
Per le Clarisse fu scelto un bel sito circondato da edifici storici, per i Paolotti un'area periferica, ma non troppo lontana dal centro: la contrada Santo Stefano. Le monache, tutte appartenenti a nobili famiglie, portavano con sè una cospicua dote di almeno duecentocinquanta ducati, i monaci potevano contare sulle donazioni di fedeli e di devoti al santo paolano.
Molti cittadini donavano in punto di morte i loro beni, o parte di essi, alla chiesa a redenzione dei propri peccati. I testamenti a volte scritti, altre volte dettati oralmente sotto giuramento, potevano andare a questo o quell'ordine, oppure ad una congrega, o a beneficio perpetuo di un singolo in cambio di messe pro anima.
Non tutto, però, si svolgeva secondo lo spirito cristiano che animava, o avrebbe dovuto animare, donatore e beneficiari. Talvolta si trattava di quella carità che con termine azzeccato fu definita pelosa, e dall'altro lato chi era destinatario di un lascito cercava di assicurarsi in tutti i modi la donazione, anche a danno di altri, magari forzando in qualche modo la volontà del testatore.
La vicenda che segue è documentata nella cosiddetta Platea delle Clarisse, risalente al 1632, e riguarda il tentativo da parte dei monaci di San Francesco di Paola di dirottare a proprio vantaggio la volontà testamentaria di un tal Belloro Mendino (o Mensino).
Si vociferava che Belloro, prossimo a morire, avesse fatto da poco testamento a favore dei predetti monaci. Il confessore e fiduciario del monastero di Santa Chiara si recò dal Belloro, sempre più prossimo a morire, per sapere se realmente fossero queste le sue volontà testamentarie. L'uomo confidò al reverendo che era stato forzato a fare testamento da alcuni devoti di San Francesco. Chiese che il testamento fosse annullato e ne fosse fatto un altro a favore del Monastero di Santa Chiara. Per essere certo che la sua volontà fosse rispettata mise nero su bianco una dichiarazione giurata nelle mani del Vicario generale di San Marco.
Appresa la notizia, notte tempo, i padri Paolotti si recarono a casa sua e, prima che Belloro esalasse l'ultimo respiro, gli fecero aggiungere al testamento uno postilla scritta di suo pugno con cui revocava la donazione alle suore e riconfermava il lascito a loro favore.
Il giorno successivo si rivolsero al Conservatore dei beni monastici, monsignor Giovan Battista di Paola, allora vescovo di Bisignano, perché emettesse decreto a loro favore. A questo punto il sopraddetto confessore e curatore dei beni delle monache di Santa Chiara -si chiamava Andreace Ardoino- presentò opposizione, dimostrando come da più tempo le consorelle godessero dei beni elencati nel testamento e di altri donati dal Belloro, per sua espressa e chiara volontà.
La decisione del Conservatore fu salomonica: sentenziò che i monaci di San Francesco non dessero più "fastidio" con la pretesa di essere eredi testamentari, in quanto la donazione era irrevocabiliter inter vivos e il testamento non possea pregiudicar la donatione. Anzi quanti testamenti e codicilli havea fatto in contrario, tante confirmationi s'intendevano fatte al Monastero, mentre c'era la clausula: quod non possit illam revocare et quondam ipsam revocaret toties intelligeretur pro iterum confirmata.


San Marco Argentano 24.5.2021

Paolo Chiaselotti



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