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ACCADDE OGGI - RICORRENZE DI EVENTI ACCADUTI


IL POSTINO SUONA SEMPRE DUE VOLTE

Rubens: Romolo e Remo allattati dalla lupa


Il racconto di oggi riguarda un fatto avvenuto due secoli fa, a San Marco Argentano, quando il Comune si chiamava solo e semplicemente San Marco. I fatti hanno dell'inverosimile, tanto che ho dovuto rileggere alcune volte i documenti originali per verificare che non avessi commesso un errore di interpretazione o che i dati contenuti in uno di essi fossero stati trascritti senza la dovuta attenzione.
Tutto vero, tanto da far pensare che i protagonisti dei fatti che sto per narrarvi siano stati messi lì, apposta, a testimonianza della veridicità dell'accaduto.
Il primo e principale testimone, che non saprei se definire protagonista visto che per la verità questo ruolo spetta ad un essere innocente appena venuto al mondo, si chiamava Giuseppe. Era nato a Fuscaldo, era un bracciale, ovvero un lavoratore che serviva per la forza delle sue braccia, il quale aveva in comune con il vero protagonista della storia lo scopo della vita: servire.
Forse, a questo punto, è meglio che non mi perda in chiacchiere che non vanno oltre i miei personali sentimenti e vi racconti cosa accadde una notte del 12 febbraio del 1824 in contrada Sciulli, presso la casa dove abitava Giuseppe con la sua famiglia, ovvero la moglie e due bambine, una di quattro l'altra di quasi un anno. Giuseppe Aloia, quarant'anni, proveniva da Fuscaldo, dove era stato registrato alla nascita e all'atto del matrimonio con Anna Teresa Puoci, con il suo vero cognome Aloe.
A Fuscaldo erano nate le prime tre figlie, tutte morte alla data dei fatti che sto narrando; le uniche sopravvissute erano le due bambine anzidette, nate a San Marco.
Sapendo che abitava nella contrada Sciulli, un tempo più estesa di oggi, potremmo anche stabilire per chi lavorasse Giuseppe, andando a verificare a quale importante e ricca famiglia del tempo appartenesssero la terra e la casa in cui egli viveva, ma tralascio questo particolare per evitare di far nascere sospetti infondati sul galantuomo responsabile del gesto compiuto nella fatidica notte.
Era quasi mezzanotte quando Giuseppe Aloe, affacciandosi sulla porta di casa, scorse sulla soglia un piccolo involto. Comprese che si trattava di un esserino appena nato, avvolto in una fascia e con l'avviso portato addosso di non essere stato battezzato.
Erano eventi che accadevano di frequente. Un grido nella notte, una porta che si apriva e alla fioca luce di un lume un infante esposto all'altrui pietà erano gli atti un copione che si ripeteva nel corso degli anni.
Il giorno successivo chi aveva ritrovato questa vita al limite, si presentava con l'involto che la ricopriva dinanzi all'ufficiale di stato civile per denunciarne il ritrovamento e le circostanze. Scoperto il corpicino videro che era un maschio: fu registrato con il nome Armelio, per errore, ignoranza, dottoraggine o forse per frivolo grafismo. Ha poca importanza, visto che tolse il problema di interpretarne il nome e soprattutto l'obolo dato alla sua nutrice, Anna Rosa Gabbriele, dopo appena due settimane.
Il dubbio maggiore, tuttavia, risiede nella scelta del cognome Rogato, che corrispondeva a quello di alcune giovani donne di Bonifati e che non rientrava tra i cognomi assegnati ad infanti abbandonati, per i quali venivano comunemente usati Proietto o Esposito, e in taluni casi cognomi di fantasia non presenti tra la popolazione.
Non escluderei che le voci o la presenza di donne incinte abitanti nei paraggi, possano aver indotto l'ufficiale dello stato civile ad individuare nella più giovane delle tre sorelle, rimasta vedova e abitante in una contrada limitrofa a Sciulli, la madre del bambino.
Non sappiamo quale fosse l'umore di Giuseppe a seguito di una nottata così imprevista e movimentata, con tutto il seguito della denunzia di ritrovamento fatta all'ufficio municipale nella giornata seguente, ma possiamo immaginare che giunta la sera e mettendosi finalmente a letto abbia pensato che, comunque fosse andata, quella dannata giornata era finita e che l'indomani avrebbe recuperato il tempo perduto, senza dire che anch'io avrei potuto, a questo punto, concludere il racconto di oggi, ma ...
Cosa da non credere, Giuseppe fu svegliato la notte seguente, quasi alla stessa ora, da un grido simile a quello già udito il giorno prima. Avrà pensato di aver sognato, ma lo scrupolo lo spinse ad alzarsi dal letto e ad aprire l'uscio di casa guardando istintivamente a terra.
Voi che cosa pensate che possa aver visto in un'occasione in tutto e per tutto simile all'esperienza già vissuta? Esatto! a terra c'era un altro bambino, avvolto in fasce e un cartello bene in vista.
Uguale, identica scena e medesimo soggetto, tranne il fatto che questa volta si trattava di una bambina con qualche panno in più addosso.
Credo che non ci sia bisogno di ripetervi il rituale a cui il povero, e credo senz'altro disperato, Giuseppe abbia dovuto sottoporsi, mentre è d'obbligo che vi dica quale nome e cognome furono imposti a questa seconda creatura, Maria Angela Scarpello, e a chi fu affidata. La nutrice scelta si chiamava Rosa Mollo. Anche in questo caso la scelta di un cognome presente a San Marco induce a credere che l'ufficiale d'anagrafe potesse essere a conoscenza della maternità e dei motivi che avevano indotto all'abbandono. Io li ignoro in quanto non ho trovato alcun elemento che possa dare una risposta valida, ho trovato, però, il seguito della storia di Maria Angela: si sposò e andò a vivere in un paese vicino.

S.Marco Argentano, 4 febbraio 2024

Paolo Chiaselotti
Sopra un particolare del dipinto di Pier Paolo Rubens Romolo e Remo allattati dalla lupa.

L'attribuzione di un cognome esistente ad un infante abbandonato era molto rara, tuttavia negli atti processuali per un omicidio avvenuto a San Marco durante il governo borbonico ho trovato che a due donne nubili, amanti di rampolli di buona famiglia, il sindaco aveva inviato un preavviso cautelare con l'obbligo di dichiarare la nascita del figlio che avevano in grembo, affinché non potessero disinvoltamente sbarazzarsi dei nascituri, gravando in tal modo sulle spese di baliatico del Comune.
Gli atti del processo, svoltosi nel 1848 presso la Gran Corte Criminale, sono conservati nell'archivio di Stato di Cosenza. Chi ne avesse curiosità, tempo e voglia può leggere un racconto sull'argomento al seguente indirizzo: La Notte dei Viglietti



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