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AMERICA AMERICA.



America America

Fino a prima di morire mi raccontava la storia di quando era partito per l'America. Poi si dimenticava e me la raccontava un'altra volta. Sembrava un registratore, cominciava sempre allo stesso modo e, ogni tanto si fermava e mi chiedeva se me l'aveva mai detto! ed io, per rispetto, gli rispondevo di no e lo ascoltavo.
«Ero un ragazzo, non avevo fatto ancora diciotto anni, ma l'idea mia era sempre che un giorno o l'altro sarei andato in America. O perché l'avevo sentito dire da altri che erano partiti o perché tutti dicevano che l'Americani stavano buoni, avevano i soldi, fatto sta che un giorno ci ho detto a un amico mio: 'Dobbiamo andare in America?' Appena m'ha detto si, partiamo e andiamo a Napoli. Soldi non ne avevamo e ci siamo messi a fare qualche lavoretto, portavamo sacchi o quello che ci davano, anche vicino al porto, e io guardavo sempre le navi che partivano e pensavo: Mo' ci salgo di nascosto!' Poi, quando avevamo fatto un po' di soldi siamo andati a Genova, che mi avevano detto che da li partivano i ships, le navi, per andare all'America. Fatto sta che un giorno io e l'amico mio siamo saliti su una nave dove ci avevamo caricato robbe, ci avevamo lavorato, insomma. E il capitano ci ha detto che dovevamo stare sempre sotto e uscire solo la notte. E cosí facevamo: il giorno nella stiva e la notte sul ponte. Dopo qualche giorno abbiamo incontrato un signore. Aveva un cappello largo, di quelli che adesso si vedono sui film, bianco. E ci ha detto cosa facevamo e io gli ho detto chiaro che andavo in America. Lui s'è messo a ridere e m'ha detto che la nave andava in Venezuela, che pure che non sapevo dov'era ho capito che non andava in America, negli Stets che ho imparato dopo. Hai capito? eravamo saliti sulla nave sbagliata! 'Non vi preoccupate' ci ha detto che quando arriviamo' vi indirizzo io. E così è stato. Ci ha fatto salire su un'altra nave, che potevamo stare dove volevamo e siamo arrivati all'America, ad Ellisailand dove arrivavano tutte le navi. Siamo scesi e siamo andati all'indirizzo che ci aveva scritto. E si vede che c'era scritto pure quello che ci dovevano fare. E ci hanno dato una stanza per dormire e da mangiare. Poi ci hanno portato dal barbiere e poi dal sarto. Eravamo vestiti bene, giacca, cravatta, tutto. Passano i giorni e arriva quel signore che ci aveva aiutati. Sempre col cappello, elegante, e ci dice se stavamo bene. Lui parlava mezzo italiano e mezzo americano e mi ha detto di dire quel che voleva dire bene. E io dicevo sempre uel, per ogni cosa. Non facevo niente, ascoltavo quando mi parlava e andavo a comprargli il giornale e i sigari ogni tanto. E piano piano imparavo a parlare l'americano, mezzo mezzo. Un giorno ha chiamato uno e gli ha detto: o guaglione ha da imparare la macchina. E mi sono messo a guidare e quando sapevo guidare dovevo portare in un car delle casse e le lasciavo a questo, poi a quello e mi facevo un giro insomma per tutto il quartiere e lasciavo queste casse. Mi pagavano e mi davano anche altri soldi che dovevo dare un poco a uno e un poco all'altro ed erano i polis che mi facevano andare. E così facevo e guadagnavo. Avevo i dollari e tutto, ma non ho chiesto mai chi è questo o chi è quello o che cosa c'era nelle casse. Ero un bravo guagliuno. Hai capito?»
Don R. mi raccontava questa storia come se dovesse insegnarmi qualcosa, con l'aria del maestro. Ricordo che la prima volta non avevo capito tutta la storia, perché quando parlava teneva sempre il sigaro in bocca e diceva alcune parole in inglese. Poi c'era un'altra parte della storia che ... Ma quella te la racconto un'altra volta.

Da un racconto orale di Italo Avolio trascritto da Paolo Chiaselotti

San Marco Argentano, 15.10.2023


La seconda parte: lo sfregio (clicca qui
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