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L'ANTISTORIA


RUGGERO - LADRO PER BISOGNO.

Veduta centro storico di Scalea
Veduta del centro storico di Scalea (da Wikipedia - Creative Commons Attribution-Share Alike 3.0 Unported)

Nei Capitoli seguenti Goffredo Malaterra racconta due episodi della vita di Ruggero d'Altavilla che ricordano le ruberie e i rapimenti che precedettero l'ascesa del fratello Roberto il Guiscardo, il quale più che 'maestro' di vita, fu causa dei suoi comportamenti disonorevoli.
Pochi, credo, sanno che il futuro gran Conte si era accodato ad un uomo al suo servizio, noto a tutti come un abilissimo ladro, per andare a rubare di notte, in una casa di Melfi, alcuni cavalli che gli erano piaciuti. Malaterra, che pure avrebbe voluto tacere una simile vergogna, lo fa per 'dovere di cronaca', attribuendone la causa alle condizioni di soggezione a cui lo aveva ridotto il Guiscardo, paragonabili a quelle di un servo sciocco, malpagato e maltrattato. Ruggero si separa, cerca vendetta, ma non riesce ad affermarsi come vincitore. Anche la sua valentia militare cede il passo alla risorsa meno rischiosa del brigantaggio da strada. Alla fine, non rovescerà le posizioni, ma le frequenti incursioni e devastazioni, finanziate con i proventi delle rapine, rappresenteranno un pericoloso ostacolo ai progetti di conquista del Guiscardo.
XXIV - Suo fratello Guglielmo, noto come il conte del Principato, manda dei messaggeri da Ruggero con l'invito a recarsi da lui, con la promessa che appena arrivato, gli avrebbe dato tutto ciò che possedeva, tranne moglie e i figli. Al suo arrivo fu accolto con gli onori che meritava. Infine, dopo essere rimasto per un certo tempo con lui, Ruggero ricevette da Guglielmo la fortezza di Scalea, che divenne la base delle tante incursioni dirette contro il Guiscardo e del saccheggio del territorio circostante. Quando il Guiscardo ne fu informato, allestì l'esercito per porre Scalea sotto assedio, devastando vigne e oliveti prossimi alla città. Guglielmo, invece, calando i suoi soldati organizzati militarmente in gruppi numerosi armati di lance, riusciva a decimare gli avversari. Il Guiscardo, allora, vedendo che l'avanzata verso la città procedeva a stento e che il numero dei suoi uomini diminuiva ogni giorno di più, per evitare danni maggiori, prese la decisione di ritirarsi.

XXV - Dopo un po' di tempo, riappacificatisi con l'aiuto di intermediari, Ruggero, su invito del fratello, andò da lui con sessanta fidati cavalieri del suo seguito. Là certamente dovette patire il massimo dell'indigenza, anche se molti dei suoi armigeri si mantenevano col latrocinio. Con ciò certamente non vogliamo attribuirgli alcun disonore, ma, essendo egli il capo, scriveremo di lui azioni molto vili e reprensibili, perché tutti si rendano conto con quanto sudore e con quante ristrettezza fosse passato dalla miseria più nera al massimo grado di ricchezza o di onorabilità. Si dice che avesse un armigero di nome Blettina, di fronte al quale nessuna cosa era al sicuro se si metteva in testa di rubarla. Costui, poverissimo in gioventù, ma destinato a diventare un ricchissimo conte, desiderando possedere certi cavalli che aveva visto in una casa a Melfi, persuase Ruggero ad andare con lui per portarseli via, rubandoli nottetempo.

XXVI - Servendo scrupolosamente il fratello per due mesi di fila, senza nulla ottenere in cambio, né per sé, né per i suoi uomini, se non un unico cavallo, quasi applicava inconsciamente, senza averlo letto, quel proverbio di Sallustio: "È il massimo della follia sforzarsi inutilmente per non ottenere alla fine niente, se non con fatica l'odio." Chi è servizievole deve confidare nella sorte, che francamente a lui ben poco aveva elargito. Avendo avuto un violento alterco col fratello e rotto il patto a suo tempo stipulato, se ne tornò a Scalea. Immediatamente, la sera stessa, dalla fortezza chiamata Narencio, incaricò i suoi cavalieri di saccheggiare le fortezze del Guiscardo e depredare l'intera provincia. Ma a coloro che aveva mandato a saccheggiare, un tale Bervenio, proveniente da Melfi e diretto a Scalea, comunicò che dei mercanti melfitani, pieni di un carico prezioso, stavano transitando sulla strada da Melfi verso Amalfi non lontano dalla città. Nell'udire ciò Ruggero, tutto contento, balzò a cavallo e con tredici cavalieri soltanto andò incontro ai mercanti sul tratto tra Gesualdo e Carbonaria (attuale Aquilonia). Catturati li porta a Scalea, impossessandosi dei loro averi e chiedendo il riscatto per la loro liberazione. Fattosi forte di questa entrata, magnanimo com'era, ingaggiò cento cavalieri, coi quali con molte e frequenti incursioni mise a ferro e fuoco l'intera Puglia. Contribuiva a rendere il Guiscardo molto turbato il fatto che, avendo trascurato il dominio sulla Calabria, stava quasi perdendo quello che aveva già conquistato.


San Marco Argentano, 10 maggio 2025

Paolo Chiaselotti

1 https://www.thelatinlibrary.com/malaterra.html "De rebus gestis Rogerii Calabriae et Siciliae comitis et Roberti Guiscardi ducis", Libro I, capitoli XXIV, XXV, XXVI

CAPUT VICESIMUM QUARTUM. Rogerius a Willelmo fratre benigne suscipitur et Scalea conceditur.
XXIV. Quod audiens frater suus Guillelmus, comes videlicet totius Principatus, legatos mittens, ut ad se veniat, invitat: quae habet simul accipiat, nihil se, exceptis uxore et liberis, ab illo proprium habere velle repromittens. Veniens itaque, honore, quo decebat, susceptus est. Aliquandiu cum ipso commoratus, tandem castrum, quod Scalea dicitur, ab ipso accepit; propter quod multas incursiones versus Guiscardum faciens, circumquaque lacessivit. Quod cum Guiscardo relatum fuisset, exercitu commoto, idem castrum obsessum vadit, et oliveta et vineas, quae urbi contigua erant, vastat. Guillelmus autem, milites eius crebris congressibus et hastili robore militariter deiciens, numero minuebat. Ille vero, cernens se versus urbem minus proficere et numerum suorum cotidie magis deficere, ne maiori damno gravaretur, consilio habito, a loco recessit.

CAPUT VICESIMUM QUINTUM. Rogerius comes equos furatur.
XXV. Non multo post, per internuntios pace ad tempus inter ipsos facta, invitatus a fratre, Rogerius cum sexaginta militibus fidis sibi servitum vadit, ubi quidem plurimum penuriarum passus est, sed latrocinio armigerorum suorum in multis sustentabatur. Quo quidem ad eius ignominiam non dicimus, sed, ipso itaque praecipiente, adhuc viliora et reprehensibiliora de ipso scripturi sumus, ut pluribus patescat quam laboriose et cum quanta angustia a profunda paupertate ad summum culmen divitiarum vel honoris attigerit. Habebat siquidem armigerum quendam, Blettinam nomine, coram quo nil tuebatur, ad quod furandum intendebat. Hic ipse penuriosus adhuc iuvenis, postmodum ditissimus futurus comes, cum esset cupiens quosdam equos, quos apud Melfam in cuiusdam domo viderat, ad hoc persuasit, ut, secum vadens, nocturno furto exstractos, abduceret.

CAPUT VICESIMUM SEXTUM. A Rogerio Malfitani capiuntur.
XXVI. Curriculo itaque mensium duorum fratris servitium studiose peragens, cum ab ipso nil inter se et omnes suos, causa remunerationis, excepto uno tantum equo, accepisset, quamvis non legerat, tamen quasi naturaliter sciens illud Sallustianum proverbium: Frustra niti et ad extremum nihil, nisi odium fatigando quaerere, cum demum ad extrema dementia est, quod bene servienti fortuna necessaria est, sibi vero eam minus bene favere, cum fratre pluribus verbis altercatus, foedere, quod inter se ad tempus habebant, reddito, Scaleam reversus est, statimque in eodem vespere apud castrum, quod Narencium dicitur, milites suos castra Guiscardi praedatum mittens, provinciam spoliavit. At dum illos, quos praedaturi miserat, apud Scaleam praestolatur, Bervenis quidam, a Melfa veniens, nuntiat melfetanos mercatores, onustos pretiosis opibus, a Melfa versus Melfam haud procul a castro transire. Quo audito, non minimum gavisus, equum insiliens, inter Gisualdum et Carbonariam, cum tredecim tantum militibus, mercatoribus occurrit; captosque Scaleam deduxit; omniaque, quae secum habebant, diripiens, ipsos etiam redimere fecit. Hac pecunia roboratus - largus distributor-centum sibi milites allegavit, quibus, totam Apuliam crebris et diversis incursionibus dilacerans, Guiscardum in tantum sollicitum reddebat, ut, adcquirendae Calabriae oblitus, iam quod acquisierat pene amitteret.



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