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L'ANTISTORIA


RUGGERO E LA SUA CALABRIA.

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IL CASTELLO DI SQUILLACE (particolare estratto da Wikipedia)

Continuando il racconto delle Gesta di Ruggero e di Roberto, subito dopo il capitolo riguardante la carestia in Calabria del 1058, Goffredo Malaterra evidenzia come il dissidio tra i fratelli non apportasse a nessuno dei due alcun beneficio, anzi esso diventava l'occasione per i calabresi di liberarsi del giogo normanno.
La conquista da parte di costoro del castello di Neocastro e l'uccisione della guarnigione normanna, sessanta uomini di guardia, diventano motivo di riappacificazione fra Roberto e Ruggero.
Malaterra nella successione degli eventi colloca, subito dopo la ritrovata concordia, due fatti importanti: l'assegnazione a Ruggero della Calabria oltre il golfo di Squillace e il matrimonio con Sichelgaita. Con il primo atto Ruggero rinuncia al possedimento di Scalea, restituendolo con mille ringraziamenti al fratello Guglielmo, con l'altro il Guiscardo tenta di assicurarsi i favori della corte longobarda, ripudiando la prima moglie Alberada, di stirpe normanna e sua consanguinea, e inviando il fratello Ruggero a Salerno nel 1058 con una procura di matrimonio con la principessa Sichelgaita, in cambio alla promessa di due castelli al fratello di lei Gisulfo.
Le nozze solenni saranno celebrate non nello stesso anno, ma nell'anno successivo a Melfi, a costo zero, visto che, con la scusa dell'atteggiamento ostile di Gisulfo, l'accordo per la donazione di due castelli fu rotto.
Mentre il Guiscardo consuma il matrimonio, Ruggero scende nella 'terra promessa' e si stabilisce a Mileto, che il fratello Roberto gli aveva graziosamente donato con lo scopo di assoggettare tutta la Calabria fino a Reggio.
Ruggero va a reprimere quelle che il Malaterra definisce ribellioni, attribuendole a 'quella perfidissima razza' calabrese, i cui rappresentanti, ad onore del vero, altro non facevano altro che difendere le proprie terre.
Tra i 'rivoltosi' ci sono gli abitanti di Oppido, che contrari alle novità e ai vantaggi di un'occupazione militare normanna, si difendono strenuamente dall'assedio di Ruggero, il quale nel tentativo di allargare i propri domini deve necessariamente lasciare sguarniti presìdi di città già conquistate.
Approfittando di ciò, due 'facinorosi', il vescovo di Cassano e il preposto alla roccaforte di Gerace, ne approfittano per togliergli, con un esercito imponente, il castello di San Martino nella valle delle Saline.
Ruggero, ovviamente, non se ne accorge, ma ne viene informato e, mollato l'assedio, si precipita dove l'esercito nemico era accampato. Inutile dire che il poderoso esercito ebbe la peggio e le spoglie degli uomini del vescovo e del presopo (non spaventatevi, si tratta di un preposto), vivi o morti che fossero, assieme ai loro cavalli, finirono in mano ai normanni. Appresa la lezione i calabri, tranne qualcuno, si guardarono bene dal mostrare ulteriormente la loro 'perfida' indole.
Ruggero, occupato a mantenere i territori conquistati, viene improvvisamente chiamato da Roberto in soccorso del loro fratello Goffredo, conte della Capitanata, alle prese con alcuni pugliesi recalcitranti, ai quali non importavano un fico secco i piani di espansione del conte normanno. Ruggero, che è di animo generoso, nonostante fosse occupato a convincere pochi recalcitranti, parte alla volta della Puglia con un piccolo esercito. Altrettanto fa Roberto che era poco distante e così i due si ritrovano a casa di Goffredo. Qual è il problema? Il problema è un tal Gualtiero, che ha un sorella bellissima, ma che non c'entra niente con la storia dei recalcitranti, e un castello in quel di Guillimaco. I tre fratelli assediano il castello, fanno prigionieri Gualtiero e la sorella e li portano seco, non prima, però, di essersi assicurati che Gualtiero non possa un domani vendicarsi. Per sicurezza gli cavano gli occhi.
E la sorella? Il monaco benedettino Malaterra dice soltanto che aveva una carnagione bianchissima e ce la mostra in una ipotetica balneazione, con le sue candide gambe nell'acqua del mare o in un tratto di fiume pescoso, affermando che i pesci si sarebbero avvicinati a lei a tal punto da poterli prendere con le mani!
Mi fermo qui, impegnandomi a riprendere il racconto delle gesta di Ruggero fino alla totale conquista della Calabria in un prossimo racconto.
Ho preferito questa forma di esposizione, piuttosto che la traduzione, che sarebbe risultata ricca di particolari, ma alquanto noiosa. Tuttavia ho riportato in basso il testo latino per coloro che volessero avere un'informazione più dettagliata.


San Marco Argentano, 27 maggio 2025

Paolo Chiaselotti

1 https://www.thelatinlibrary.com/malaterra.html "De rebus gestis Rogerii Calabriae et Siciliae comitis et Roberti Guiscardi ducis", Libro I, capitoli dal XXVIII al XXXIII

XXVIII. Calabrenses denique, genus semper perfidissimum, cum viderent, fratribus inter se dissidentibus, sese a nemine visitari, coeperunt iugum Normannorum a se excutere et servitium, quod iuraverant, vel tributum minime persolvere. Unde et simulatione fidelitatis traditione composita, castrum Neocastrense accipientes, sexaginta Normannos, qui ad tuendum ibi castrum relicti erant, una die peremerunt.

XXIX. Quod cum Guiscardo renuntiatum esset, videns se Calabriam perdere et Apuliam totam turbari, fratrem per legatos accersiens, pacem cum ipso fecit, concedens ei medietatem totius Calabriae a iugo montis Nichifoli et montis Sckillacii, quod acquisitum erat, vel quousque Regium essent acquisituri.

XXX.Post haec Robertus Guiscardus, uxorem habens suae gentis honestam et praeclari generis natam, Alberadam nomine, ex qua habebat filium nomine Marcum, quem alio nomine dicebant Boamundum, consanguinitate adnumerata, canonicis sanctionibus contrarius esse nolens, coniugium solvit; filiamque Gaimari, Salernitani principis, Sigelgaytam nomine, sibi in matrimonium copulavit.

XXXI.Anno ab incarnatione Domini MLVIII, hanc apud Salernum desponsatam, antequam convenirent, Rogerio fratri procurandam committens, ipse, ut Gisulfi, fratris puellae, votum ageret, duo castra, quae Guillelmus, frater suus, comes Principatus, in haereditate illius firmaverat, quibus ipse tamen plurimum infestus erat, dirutum vadit. Inde Melfam regressus, solemnes nuptias celebravit.

XXXII. Quibus expletis, Rogerius, Guillelmo fratri cum gratiarum actione Scaleam rediens, rogatus a Guiscardo, in Calabriam venit. Castrumque Melitense, a fratre sibi haereditaliter deliberatum, habens, rebelles Calabros circumquaque impugnare coepit. Quadam vero die, cum Oppidum castrum oppugnaret, episcopus Cassanensis et Giracii praesopus, quem nos praepositum dicimus, maximo exercitu concitato, castrum, quod Sancti Martini dicitur, in valle Salinarum positum, oppugnatum vadunt, anno Dominicae incarnationis MLVIIII. Quod cum Rogerio nuntiatum fuisset, ab obsesso recedens, citato cursu, ubi eos esse audivit, advolat. Impetu facto, certamen iniit, omnesque quasi circumagens, vix unum evadere permisit: de quorum spoliis et equis et armis omnes suos abundantes fecit. Quamobrem Calabria, etsi non ex toto oboediens, tamen a vicinitate eius tremula, minus eum prior irritare praesumebat.

XXXIII. Robertus igitur Guiscardus, rogatus a fratre suo, Capitanatae comite, Gaufredo, ut contra sibi reluctantes auxilium laturus in terram, quae Tetium dicitur, quam, ut suos fines dilataret, debellare coeperat, veniret, in fratris sui Rogerii strenuitate plurimum fidens, ut ad se, secum illuc iturus, quam citissime veniat, invitat. Ille autem, invitatione suscepta et necessitate fratris sui Gaufredi cognita, quamvis suis utilitatibus disponendis occupatus esset, tamen, quia semper sibi mos fuit amicorum utilitatibus, ut suis, subvenire, accuratissime versus fratrem auxilium accelerat. Sicque, exercitu commoto, utrique, in auxilium fratris aciem dirigentes, Guillimacum castrum oppugnantes capiunt. Galterium, qui castro principabatur, captivum ducentes in Apuliam, oculos effodiunt, ne si, oculos habens in posterum, a captione quando liberaretur, fratri iterum molestus fieret. Hic sororem quandam habebat, quae cum ipso in captione abducta est. Quae etiam tantae pulchritudinis fuisse testatur, ut, si aliquando ad mare balneatum venisset, vel causa experientiae in aliquo piscoso flumine crura deponeret, pisces, albedine eius delectati, adnatabant, ut etiam manu capi possent.



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