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L'ANTISTORIA

SAN MARCO NEL 1065

Urbano II consacra l'altare del monastero di Cluny
1095 - Papa Urbano II consacra l'altare del Monastero di Cluny di cui fu priore col nome di Ottone

Alla luce di quanto vi apprestate a leggere, San Marco,
come voi la immaginate o pensate che fosse stata,
rappresentava il nulla
.


La più antica datazione scritta su un documento riguardante il territorio di San Marco risale al 1066 e spetta ad un anonimo falsificatore che appose tale data su un atto redatto nella forma di un originale. Sbagliò di un anno, la data esatta era il 31 marzo 1065 e non 10661.
Poco male per noi sammarchesi, disposti e disponibili ad accettare ben peggiori anacronismi.

Se l'autore fu un contraffattore, ciò che egli scrisse è sicuramente attendibile per un motivo molto semplice: essendo il documento un atto di donazione, i beni e le condizioni in esso descritti sono assolutamente reali, altrimenti non avrebbero avuto alcun valore.
Ciò di cui mi occuperò è l'assetto territoriale nell'anno 1065 e la presenza di persone i cui nomi compaiono sul documento.
Iniziamo da questi ultimi per ordine di importanza, ovvero dai donatori, il duca Roberto il Guiscardo e la sua seconda moglie Sichelgaita.
La loro presenza a San Marco, precisamente all'abbazia della Matina dove il documento fu redatto, è occasionale, in quanto all'epoca abitavano a Melfi.
Roberto, il cui primo arrivo a San Marco è databile intorno al 1050, lasciò la città nel 1057, alla morte del fratello Umfredo, di cui prese il posto. Nel corso di questi pochi anni, sette, ma forse anche meno, egli dimorò a San Marco saltuariamente. Nel 1053 partecipò, infatti, alla battaglia di Civitate, quindi, si sposò a Buonalbergo con Alberada; nel 1056 combatté contro Gisulfo principe longobardo di Salerno. Durante la breve permanenza a San Marco nacque il figlio Marco soprannominato Boemondo.
Considerando che dal 1057 Roberto non abitava più a San Marco, a chi era affidato il governo della città, o per essere precisi del castellum, come è definito nel documento del 1065? Il nome del reggente lo troviamo scritto nell'atto di donazione: si chiamava Gualtiero ed era il siniscalco, ovvero colui che rappresentava il duca al massimo grado.

Ritornando al contenuto del diploma, voglio ora soffermarmi su un aspetto riguardante i 'confini' territoriali, allo scopo di individuare:
1) i beni trasferiti alla Matina, 2) la delimitazione del castellum, 3) i terreni limitrofi appartenenti al vescovo di Malvito.

1) Beni trasferiti all'abbazia della Matina
I territori sono delimitati da confini naturali, ovvero fiumi, strade, alture, i terreni coltivati dai nomi dei loro possessori. Nel suddetto diploma il duca Roberto e la moglie Sichelgaita donano all'abbazia della Matina un vasto comprensorio di terreni.
Tale comprensorio si estendeva su un'area che, partendo dai terreni limitrofi all'abbazia, dal fiume Fullone saliva verso le colline in direzione di Bisignano, a confine con una contrada denominata Sant'Andrea (tuttora esistente, ma allora ben più vasta) e, percorrendo i crinali collinari, si ricongiungeva al fiume Fullone attraverso il vallone del torrente Santa Venere. Da qui, lungo il corso del Fullone, fino alla Matina, esistevano tre mulini (identificabili con mulino della corte, mulino Fazzullo e mulino della Matina).
Da questo vasto comprensorio restava escluso il castellum Sancti Marci, non ancora civitas.
Il territorio a sinistra del Fullone rimase di proprietà del vescovo di Malvito, incluso il vico Prato, che doveva essere molto più esteso di quanto lo è oggi (era il Prato Marco citato dal Malaterra?).
Furono, tuttavia, assegnati all'abbazia alcuni suoi abitanti, i cui nomi sono scritti nell'atto, con le loro proprietà ricadenti in territorio di Malvito, possedute dal duca Roberto (vedi sotto).
Oltre alla generica perimetrazione del vasto territorio, nel documento compaiono altri terreni coltivati, con i nomi dei rispettivi possessori, accompagnati dall'espressione latina consortibus, che interpreto come soci: le vigne di Gagareni e compagni, le vigne di Michele Amari e compagni, le vigne di Pietro di Lectulillo e Costa di Mantinia, tre vigneti che non sappiamo se facenti parte del comprensorio anzidetto o di Prato o di altro territorio.
Rientrano, inoltre, nella donazione del Guiscardo l'abbazia di San Pietro di Marcanito nella valle del Mercure, la chiesa di Sant'Elia e di San Zaccaria con le loro pertinenze, la chiesa di San Nicola di Digna e il porto di mare e l'abbazia di San Nicola dell'abate Clemente con vigna, terra, bosco.
Il diploma dispone che tutte le chiese presenti e future, ricadenti nei territori di pertinenza del monastero della Matina, siano assolutamente indipendenti dall'autorità episcopale e contempla la possibilità che l'abbazia possa costruire un casale alla Matina in cui accogliere uomini da ogni dove. Uguale diritto di impiegare uomini è esteso ai casali di Prato, di Santa Venere e anche ad altri casolari e località rientranti nelle proprietà dell'abbazia. Una clausola prevede, inoltre, che i tutti i baroni, i seguaci e qualunque altro suddito possano liberamente fare donazioni a favore del monastero di case, terre e vigne senza vi si opponga alcun impedimento.
Allo stesso modo debbono essere accettati e giammai ostacolati i lasciti post mortem a suffragio delle anime.
Il diploma dispone che nessun rappresentante, sia autorità che semplice persona, possa mai intervenire in alcun modo sulle proprietà di qualsiasi natura dell'abbazia, sia sotto il profilo possessorio che impositivo esattoriale, dando piena facoltà al monastero, e senza limitazione alcuna, dei diritti di pascolo, erbatico, legnatico.
Diritti, donazioni e privilegi sono talmente estesi da prevedere che in nessun momento presente o futuro essi possano essere da chicchessia ridotti o alienati e che il monastero ne disponga universalmente a sua discrezione. La pena nei confronti dei trasgressori a tali disposizioni è stabilita in cento libbre di oro purissimo, da dividersi in parti uguali tra monastero e corte ducale, fermi restando gli effetti e benefici delle disposizioni sopradette. Incaricato della stesura del diploma, su cui è impresso il sigillo ducale con timbro in piombo, è il notaio personale del duca, Giovanni. L'atto è firmato dal duca Roberto, dalla duchessa Sykelgaita, da Rosello testimonio, da Gualtiero senescalco testimonio, da Erveo testimonio, da un non precisato Ruggero.


2) Delimitazione del castellum
Poiché il castellum Sancti Marci non rientrava tra le donazioni, non sono citati edifici tranne la chiesa di Santa Venere che era al suo interno, con casale, vigne, terre e boschi. In un atto successivo il tutto rientra in una specifica area di Santa Venere, denominata Santo Stefano, tuttora esistente e coincidente con l'attuale sito di San Francesco di Paola.
Non essendo specificati i confini del castellum dobbiamo ritenere che esso non avesse una precisa delimitazione, essendo proprietà piena e indiscussa del duca Guiscardo.
L'erezione di mura e torri dovette avvenire in epoca successiva, in quanto per tutta la durata della dominazione normanno-sveva -e angioina fino al 1283, all'epoca delle guerre del Vespro- non abbiamo notizia di attacchi o tentativi di conquista da parte di alcun genere di assalitori.
Va detto con chiarezza, alla luce di quanto vasto, potente e incontrastato fosse il potere dell'abbazia della Matina, che l'immagine stessa del castellum Sancti Marci, affidato ad un siniscalco, rispecchia una situazione antropica irrilevante, sia sotto il profilo militare che politico.
Il potere ridotto del vescovo di Malvito e la diretta dipendenza dell'abate benedettino all'autorità pontificia non lasciano spazio alcuno ad ipotesi di arroccamento feudale. L'idea che il Guiscardo vi possa aver nominato un vescovo ed avervi eretti edifici di rappresentanza e finanche una cattedrale contrasterebbe con quanto abbiamo finora letto. Senza contare che anche all'interno del castello di San Marco c'era la chiesa di Santa Venere, con casale, vigna, terre, boschi, uomini, con diritti di ogni genere, presenti e futuri, tutti appartenenti all'abbazia della Matina.


3) Terreni appartenenti al vescovo di Malvito
Qual era il territorio ancora in mano al vescovo di Malvito? Considerato che per i diritti sui territori da lui un tempo posseduti il vescovo ebbe in cambio trenta schifati, i terreni che rimasero in suo possesso furono quelli alla sinistra del fiume Fullone, con esclusione di quelli appartenuti ai 'rustici' 2 del vico Prato, che furono trasferiti dal Guiscardo all'abate della Matina.
Va, comunque, precisato che tutto il territorio era compreso nella giurisdizione di San Marco, come è espressamente dichiarato nella parte introduttiva del diploma.


San Marco Argentano, 22.7.2025

Paolo Chiaselotti


1 Alessandro Pratesi, Carte Latine di Abbazie Calabresi provenienti dall'Archivio Aldobrandini, Studi e Testi n. 157, Biblioteca Apostolica Vaticana, Città del Vaticano, 1958, Documento n.2 Roberti Guiscardi Ducis Diploma, pag. 7-12.
2 Perché, come hanno stabilito gli studiosi, aveva calcolato l'Incarnazione di Nostro Signore alla maniera pisana, posticipando l'inizio dell'anno al 25 marzo, ma indicando come data collaterale il terzo anno dall'indizione della nomina del pontefice papa Alessandro II, eletto il 30 settembre. Essendo il giorno indicato sull'atto le seconde calende di aprile, ovvero due giorni prima del primo aprile (vanno contati entrambi 31 e 1), la data esatta è quindi il 31 marzo 1065 e non 31 marzo 1066.
2 Iohannes Pungicaballo, Manso Cunposto, papa Urso, Iohannes Dimidius monachus, Iohannes Maiomoni (o Mamonus), Iohannes de Presbita (o Presbitera), Nicola (o Nicholaus) suo fratello, Basilius Trestarenos (o Trestarinos), Niceta Magluus (o Maclita), Nicola (o Nicholaus) tabularius, Leo de Mantinia (o Matina), suo fratello Urso, Cristoforus, Thodorus, Iordanus, Michael, Petrus, Iohannes, Stefanus Banbaci (o Stephanus Bambace), Nicola Saci (o Nicholaus Sage), Ursinus Flos, Nicola (o Nicholaus) figlio di Mazarelli, Simeon (o Symeon), Iohannes presbitero, suo fratello (o figlio), Nicola (o Nicholaus) Scaranus, Petrus Gazanensis (o Gazarenus), Iohannes Brancella (o Braccella).


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