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SLAVI A SAN MARCO, UNA ... JOBBA?


Colomanno re d'Ungheria
Colomanno re d'Ungheria (aveva sposato Felicia, figlia di seconde nozze del gran conte Ruggero di Sicilia)

Non so quanti sammarchesi abbiano accolto con un certo interesse la mia 'trovata' sulla presenza di popolazioni slave ai tempi del Guiscardo o quanti l'abbiano considerata una cosiddetta jobba. Questi ultimi, pur ignorando ciò che mi appresto ad esporre, potrebbero aver azzeccato la parola giusta per definire la storia degli sclavi a San Marco.
Credo che innanzitutto sia necessario spendere due parole sulla parola giobba. Derivata dall'inglese job, fu creata dai nostri emigrati per indicare non solo il lavoro, ma soprattutto l'affare e, di conseguenza, nella visione americana del profitto fatta propria dai nostri connazionali, ha finito per significare anche inganno, falsità, raggiro.
Sia gli americani che i nostri immigrati ignoravano, però che la parola in origine significasse destrezza, che come tutti sanno è l'opposto della mancanza, allo stesso modo in cui la mano destra, con la sua accezione positiva, si oppone al significato negativo sinistra. Come noi abbiamo utilizzato i termini manovale e bracciale, gli ungari utilizzarono il termine traendolo dalla destra, jobb. Il suo significato si estese al concetto di giusto, buono e, paragonato alla sinistra, di migliore. I jobbágy, latinizzati nel tardo medioevo in jobagines, jobagiones, erano coloro che vivevano di lavoro grazie a questa preziosa risorsa. Quando i Normanni avevano iniziato a scendere in Italia, in Ungheria la classe dei jobbágy era l'anima del castello feudale e variava dalla condizione di servitù a quella di sudditi con obblighi e diritti diversi all'interno del castello. Tra essi i várjobbágy, che negli scritti tardo latini troviamo tradotti in jobagiones castri. Essendo var in lingua ungherese la fortezza, i várjobbágy erano i guerrieri del castello, rappresentanti di una classe media assurta da una condizione di servitù (jobbágy), ad un rango sociale più elevato.
Bene, arrivati a questo punto, mi sono chiesto se Roberto il Guiscardo non avesse realizzato qui a San Marco una situazione analoga, distribuendo nel territorio, con attribuzioni diverse, alcune delle popolazioni slave presenti in Calabria e utilizzate fino ad allora solo con mansioni ausiliarie prevalentemente servili.
Il fatto che lo storico Goffredo Malaterra dica esplicitamente che alcuni degli sclavi al seguito del Guiscardo fossero stati promossi cavalieri dopo un'audace e rischiosa azione proditoria, assume una rilevanza tale da far riflettere finanche sulle reali origini del nostro borgo.
La promozione a cavalieri di quegli sclavi che parteciparono all'azione predetta, lascia chiaramente intendere che costoro furono gratificati di porzioni di territorio su cui esercitarono scelte di una certa autonomia, mentre altri continuarono a svolgere le originarie funzioni servili.
Viene spontaneo a questo punto chiedersi quale fosse la prima organizzazione sociale che Roberto istituì una volta fondato il castrum. Per secoli il problema non si è mai posto, aggirandolo con la presunta costruzione di una torre che avrebbe originato di per sè stessa una società feudale da manuale scolastico.
Se l'esempio di San Marco non trova riscontri in altre situazioni analoghe verificatesi nel periodo della dominazione normanna credo che esso andrebbe esaminato approfonditamente. Purtroppo, nei vari convegni sui normanni in Calabria non è mai stato affrontato il problema principale sulla nascita del feudalesimo a San Marco, ritenendolo assimilabile a tutte le altre situazioni verificatesi nello stesso periodo, concentrandosi esclusivamente su una rappresentazione da operetta del Guiscardo con un fastoso corteo al seguito.

Paolo Chiaselotti

S. Marco Argentano, 7.12.2025


Note

Difficilmente troverete pagine in italiano sui várjobbágy, i cosiddetti "guerrieri del castello" ungheresi, nè sui jobbágy, i servi della gleba. L'analogia tra quella che fu un'esperienza storica a livello nazionale e il caso degli sclavi di San Marco, che diedero vita alla 'borghesia' del castellum Sancti Marci, meriterebbe uno studio più approfondito. Quanti degli sclavi al seguito del Guiscardo salirono nella scala sociale e quanti rimasero servi non lo sappiamo, ma la presenza della porta dei tribulisi, in seguito definita dei trivulusi (finanche dei tribolati), è indicativa di una separazione sociale tra gli abitanti del borgo e coloro che svolgevano i lavori a valle. Non sappiamo neppure se un impoverimento successivo all'interno del borgo costrinse alcuni a spostarsi nel territorio sottostante. È certo che il perdurare per vari secoli dei nomi Illiri, trivulisi e Critè, un giudice con funzioni di governo, dimostra che una parte degli sclavi e dei loro discendenti rimase a lungo esclusa dal borgo in condizioni di servitù assimilabili a quella della gleba.



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