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IL BATTESIMO DI GESÙ NELLA CHIESA DI SAN MARCO EVANGELISTA ![]() Il quadro, un dipinto ad olio su tavola, non è firmato, ma reca in basso la seguente dicitura: "Procurator Vincentius Pasquale F. A.D. MDCCCXXIV" Grazie ad essa e alle ricerche che a suo tempo avevo fatto sulle famiglie presenti a San Marco nel XIX secolo, ho potuto ricostruire la storia di questo dipinto e con esso la storia delle persone legate alla sua donazione. Poiché non ho il dono dell'infallibilità, voglio avvertire il lettore che la mia "scoperta" potrebbe essere completamente o parzialmente errata nelle sue conclusioni, tuttavia, in tal caso, il lettore avrà appreso una parte della storia locale che ha per protagonisti una monaca di illustre casato, un brigadiere della gendarmeria reale, uno speziale farmacista che si dilettava a dipingere quadri, un sarto di Mottafollone che aveva sposato una nobildonna e le vicende che li riguardavano. Se il quadro non porta la firma dell'autore, ma soltanto il nome di colui che fece le veci del committente, dobbiamo partire necessariamente da quest'ultimo e cercare di scoprire chi fosse, cosa facesse e, soprattutto, di chi e per quale motivo fosse procuratore. Senza alcun dubbio 'procuratore' non era un titolo onorifico di Vincenzo Pasquale, un sarto di Mottafollone che aveva sposato Maria Raffaela Sanseverino, una gentildonna di Acri, ma un incarico di rappresentanza che gli era stato affidato, incluso, dunque, quello di occuparsi del quadro. Credo di non sbagliare affermando che la dicitura Procurator Vincentius Pasquale F., non essendo riferita all'autore del dipinto, debba essere letta Procurator Vincentius Pasquale fuit e non fecit che indicherebbe, invece, il pittore. Che egli fosse procuratore (o curatore) dei beni di qualcuno l'ho ricavato dall'elenco delle monache di Santa Chiara allegato alla Platea 1. In esso, infatti, compare il nome di Vincenzo de Pascale, debitore per conto della monaca Chiara Maria Sanseverini, al secolo Carolina, di Acri, di duecento ducati al convento unitamente a Francesco Ozzuddio in rappresentanza del fratello della monaca, il brigadiere di gendarmeria don Giuseppe Sanseverino. Carolina Sanseverino prese i voti il nove agosto 1822, per cui debbo ritenere che il cognato Vincenzo Pasquale (o de Pascale) per l'occasione ordinò il quadro che la professa o la famiglia Sanseverino volle donare alla chiesa annessa al convento. Il quadro, infatti, non apparteneva alla chiesa di San Marco Evangelista, ma vi fu trasferito in anni recenti. Alla data della monacazione la famiglia Sanseverino abitava a San Marco o, in ogni caso, aveva una propria residenza nel palazzo oggi denominato Fazzari, ma allora Sanseverino, "proprietari di due camere, arcovo, mezzanile, cortile e giardino, confinante con stanza di Gaetano Fazzari". Assodato, dunque, che Vincenzo Pasquale era procuratore della cognata, suor Chiara Maria, vediamo di poter scoprire chi potrebbe essere l'autore del quadro. Vincenzo Pasquale e Maria Raffaela Sanseverino ebbero una figlia, nata a Cosenza nel 1820, che chiamarono Nicoletta Caterina. Tramite le ricerche sulle famiglie sammarchesi, svolte a suo tempo, ho trovato che Nicoletta si sposò nel 1834 a S.Marco con Giuseppe Antonio Giordano, nato nel 1813 a Cetraro, ma residente nella nostra città, dove il padre Salvatore svolgeva la doppia attività di speziale-medico (farmacista) e di pittore. All'epoca del quadro, ovvero nel 1824, che dovrebbe essere la data di ultimazione dell'opera o della sua donazione, non era ancora sorta l'affinità tra le famiglie Giordano e Pasquale (o de Pasquale), ma considerato che entrambe risiedevano a San Marco è logico pensare che si conoscessero e, non essendoci in quegli anni altri pittori in loco, è altrettanto probabile che la committenza dell'opera sia stata affidata proprio a Salvatore Giordano. Anche il figlio seguirà le orme del padre, ma dobbiamo escluderlo dal novero dei possibili autori, data l'età troppo giovane (nel 1824 aveva solo undici anni). Il figlio di Salvatore Giordano e la figlia di Vincenzo Pasquale si sposeranno nel 1834 a San Marco Argentano. Vincenzo Pasquale era già deceduto all'età di trentasette anni nel 1827. La donazione dell'opera potrebbe essere stata fatta per motivi devozionali, ma non non escluderei che, pur nell'ambito di tali motivi, data la vicinanza delle date di esecuzione e di monacazione, l'opera potesse rappresentare il pagamento di un rateo della parte restante della dote dovuta al convento di Santa Chiara. Maggiori dettagli sulle relazioni familiari e sulle date di vita e morte dei protagonisti di questa storia sono descritti negli alberi genealogici degli sposi sotto riportati. Francesco Ozzuddio, l'altro procuratore che agiva per conto del fratello della monaca, il brigadiere della gendarmeria, era barbiere. Fu affidato proprio a lui tale incarico probabilmente per un suo rapporto parentale con Vincenzo Pasquale, dato che la madre di quest'ultimo era una Ozzuddio. Da un punto di vista artistico l'autore riprende un'iconografia classica inaugurata dal Verrocchio e Leonardo, con effetti di scarso pregio, soprattutto per quelli figurativi che denotano varie imperizie del pittore, come il volto del Battista, in parte di tre quarti e in parte di profilo, il braccio e la mano che versa l'acqua resi con uno scorcio prospettico troppo ridotto, nel tentativo di correggere la posizione del Battista arretrata rispetto a Cristo, l'angelo servente, che regge il panno con cui asciugare il Cristo, sembra, invece, avervi nascosto la mano destra! I colori, al contrario, appaiono ben distribuiti e la loro vivacità potrebbe essere indicativa di persona esperta nella loro preparazione oltre che nella stesura. Il dipinto fu realizzato su tre assi di legno unite longitudinalmente tra loro. Il distacco tra esse ha provocato le due lesioni verticali abbastanza evidenti sull'imprimitura e sui colori. Proprio quest'ultima condizione mi induce a sospettare che il committente non si sia rivolto ad un pittore o ad una bottega artistica di provata esperienza, ma ad un 'dilettante' del luogo, ovvero ad un farmacista col passatempo del pittore. San Marco Argentano, 10 giugno 2025 Paolo Chiaselotti 1 Notizia tratta da un allegato del sec. XIX alla Platea delle Clarisse, contenente notizie su monache e converse.
Nove agosto 1822, Chiara Maria (al secolo Carolina) Sanseverini, di anni 20, di Acri,
ha fatto professione nelle mani del decano Ambrosis, dopo esser stata educanda per dieci
anni e mesi 9 (aveva 10 anni), dote di ducati 300 con annualità di ducati 12.
Introitati 100 ducati, per i restanti sono obbligati Francesco Ozzuddio per la parte del Brigadiere di Gendarmeria don Giuseppe Sanseverino, fratello, e Vincenzo de Pascale, marito della sorella di Carolina, donna Raffaela Sanseverino, con ipoteca sopra la loro casa in Sant'Antonio Abbate, composta da due camere, arcovo, mezzanile, cortile e giardino, confinante con stanza di Gaetano Fazzari. Link utili https://www.sanmarcoargentano.it/ottocento/suore.htm https://www.sanmarcoargentano.it/ottocento/cognomi_g_p/giordano.htm ![]() |
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