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LA STORIA LE STORIE DELL'ARTE

'U CIBBIUNU 'I GALERA.

Cibbiun'i galera



A San Marco Argentano lungo la strada che dalla piazza San Gabriele porta al fiume Fullone, a metà del percorso, c'è un tornante. Un muro, all'apparenza una roccia naturale, sembra costruito allo scopo di reggere il lato destro della strada per tutta la lunghezza della curva. Ho sempre pensato che fosse il tratto residuo di una strada preesistente. Il signor Franco Gullo, che abita nella zona a monte fin dalla nascita, mi ha detto che quel manufatto era un'antica vasca, chiamata "u cibbiunu 'i galera".
Col nome cibbia viene chiamata in dialetto una vasca, in genere usata per scopi irrigui. L'accrescitivo cibbiunu, cibbione, individua una vasca di dimensioni maggiori di quelle comunemente realizzate. La parola pare che derivi dall'arabo, la cui traslitterazione risulta approssimativa e incerta.
L'aspetto più intrigante è rappresentato dal nome con cui essa era chiamata. Quel galera è alquanto improbabile che abbia il significato che oggi noi diamo alla parola, ovvero carcere, prigione e qualcosa di simile, considerato che il luogo, la funzione originaria, la sua struttura sono incompatibili con un uso, anche temporaneo, di una grande vasca circolare a luogo di reclusione di esseri umani.
Se fosse stato impropriamente adibito a ricovero di animali, come pare lo fosse stato una volta cessata la sua originaria funzione di vasca, non avrebbe avuto certamente quel nome estraneo alla nostra cultura zootecnica.
Potrebbe trattarsi di un nome indicante la proprietà. L'idea, suggestiva, che possa riferirsi alla tribù Galeria, risalente ai tempi dell'antica Roma, documentata dallo studioso Theodor Mommsen, una originaria gens Galeria nella quale confluirono gli Irpini, è talmente vaga, inconsistente e remota, da non poter essere presa in considerazione.
Per eliminare ogni dubbio in proposito -visto che di suggestioni senza alcun apporto nutritivo ci siamo abbondantemente alimentati- va considerato un aspetto legato alle tradizioni orali. Il fatto che il nome Galera o Galeria abbia attraversato secoli di storia, senza essere mai stato registrato e senza aver mai destato l'attenzione degli innumerevoli e instancabili ricercatori di testimonianze storiche sull'origine romana di San Marco, può essere interpretato in due modi. Il primo è che il signor Franco Gullo abbia male recepito e interpretato un secolare appellativo con cui quella grande vasca era chiamata e l'altro che, qualunque fosse stato il nome, esso non fu mai, da alcuno studioso, ritenuto degno di attenzione.
Se esso non trovò mai una registrazione, la ricerca del significato di quell'appellativo, o di altro ad esso accostabile, deve spostarsi nell'ambito della funzione per la quale il cibbione era stato costruito o utilizzato e dell'approvvigionamento dell'acqua. Partiamo da quest'ultima considerazione.
L'acqua vi doveva arrivare o da una diretta sorgente naturale o da una canalizzazione. Se in un caso o nell'altro si era dovuti ricorrere ad uno scavo, la parola galera potrebbe riferirsi alla realizzazione di una galleria, parola che troviamo in epoca tardo medievale col significato di percorso scavato o coperto. Il significato, in tal caso sarebbe, quello di una grande vasca approvviggionata da una sorgente scavata nei pressi, oppure di un'apertura nella roccia, per farvi scorrere l'acqua proveniente da monte. In effetti, il tornante con la vasca si trova sotto un massiccio litico e non vi è traccia di una canalizzazione proveniente da altro luogo. L'acqua, però, ove non fosse sorgiva, ma proveniente da monte, avrebbe potuto seguire il percorso stradale con una canalizzazione laterale, oggi scomparsa. Accantonerei, per il momento, l'idea di una corrispondenza tra galera e galleria, per spostare l'attenzione sulla funzione che una vasca di quelle dimensioni doveva avere. È certo che essa non era stata costruita a scopo di irrigazione, visto che i terreni sottostanti erano attraversati dal torrente Follone. Non posso escludere, anche se non ho competenze tali da poter avanzare ipotesi su un suo utilizzo, che potrebbe aver avuto a che fare con il movimento delle macine di un mulino sottostante, del quale esiste la torre di caduta, comunemente chiamata saitta. Posso solo immaginare, ma potrei sbagliarmi data la mia assoluta incompetenza, che tale vasca avesse la funzione di sostituzione del canale di adduzione dell'acqua, il cui flusso poteva essere regolato da una saracinesca. Non trovo, però, in tale funzione alcun collegamento con qualcosa che ricordi una galleria, salvo un eventuale percorso sotto strada fino alla saitta del mulino.
C'è, infine, un'altra spiegazione, direi suggestiva quanto quella dell'antica Roma ..., ma più accostabile alle esigenze che una società poteva avere non in campo alimentare, ma dell'abbigliamento. La vasca poteva contenere, oltre all'acqua, materie prime di origine vegetale o animale per ricavarne stoffe e pelli o stoffe di vario genere. Tale genere di vasca esisteva ed era chiamata "gualchiera" o "gualchera", una voce che si avvicina alla voce galera di cui ho finora parlato.
Gualcare i panni significava batterli per dare loro una certa consistenza. Si poteva ad esempio, battere la lana per pressarla e infeltrirla, Si poteva mettere nella vasca la seta o il cuoio. Sodare, rendere sodo, o follare era altri due verbi che indicavano processi di lavorazione e non è un caso che il secondo verbo presenti affinità col torrente Follone e con una località chiamata Follonara.
Non è da escludere, quindi, che la voce gualchera si sia trasformata in galera (g _ a l_ _ e r a). Considerando, inoltre, nel caso fosse vera questa ipotesi, che un lavoro di quel genere richiedeva l'impiego di vari individui, costretti a pestare per ore con mani, piedi e bastoni il contenuto, il parallelo tra un tale impianto di produzione e una galera non era molto lontano dal vero.
Se è difficile giungere ad una conclusione definitiva da un'etimo tanto incerto, tuttavia, è noto che dalla Vardara, l'originaria contrada oggi in parte coincidente con la piazza San Gabriele, a scendere fino a valle, è documentata la presenza di tribules, ovvero di appartenenti alla tribù slava macedone, da cui Vardara prende il nome, essendo il Vardar il maggior fiume di quella regione balcanica. Come ampiamente dimostrato in altre pagine, costoro erano gli sclavi al seguito di Roberto il Guiscardo dei quali parla lo storico Goffredo Malaterra. La loro presenza, prolungatasi negli anni, è attestata dalle definizioni, succedutesi per secoli, riguardanti costoro, che nelle forme corrotte di trivulisi, trivulusi e tribulati, furono assimilati a persone oppresse e sofferenti.

Come i lettori più attenti, che calcolo in termini di poche unità, avranno notato, spesso le mie conclusioni non danno una risposta ai problemi che sollevo di volta in volta. Confido sempre in quel contributo importante del sapere collettivo che è alla base del mio costante lavoro di ricerca e, perché no, al sopraggiungere di ulteriori informazioni sulla base di nuove letture e approfondimenti.


San Marco Argentano, 20 settembre 2025

Paolo Chiaselotti

Note
Un altro cibbione si trova in località Acquafredda sul vallone di Santa Vennere e, similmente a quello di Galera, era al di sopra di un sottostante mulino. Una terza vasca si trova in località la Vardara. La sua funzione, oggi, è chiaramente irrigua, ma data la sua posizione sul limite di un'area fortemente scoscesa potrebbe aver avuto un uso diverso.

Il glossario dei termini del basso latino Du-Cange riporta un'interessante distinzione sulla funzione dei mulini:
- FULLARE, Dicitur de pannis, qui densantur, desquammantur et poliuntur. Glossar. Gall. Lat. ex Cod. reg. 7684: "Fullare, fouler." Charta Phil. Pulc. ann. 1306. in Lib. rub. Cam. Comput. Paris. fol. 498. v°. col. 2 :"Duo molendina nostra de Ruglis, videlicet unum ad bladum, et aliud ad Fullandum".

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