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LA STORIA LE STORIE DELL'ARTE.


UNA LEZIONE NELLA TORRE ... .


Torre dal lato della piazza Fragomeni
Uno degli aspetti che mi ha sempre affascinato del nostro principale monumento cittadino è la sua estrema 'sintesi' costruttiva. Semplicissima e facilissima da riprodurre anche per un bambino: un bastione, una torre, e una scala esterna collegata ad una torretta. Una sintesi che, nel corso dei miei anni di insegnamento nella scuola media, poco distante, facevo 'vivere' agli alunni con le visite annuali, oltre ai disegni dal vero. Dicevo sempre: adesso entriamo nel Medioevo e, prima ancora di entrare avevano (e si ha tuttora) l'impressione di passare in uno spazio diverso, attraversando un ponte sospeso. Una volta entrati, la sensazione di camminare sul vuoto svaniva e ci si immetteva in una solidità grave e incombente, ma aperta e priva di direzionalità.
È il primo disagio che avverte chi vi entra per la prima volta: non sa da che parte andare. Già questo dà la sensazione di essersi introdotti in un mondo diverso. La scoperta di una seconda scala provoca la prima sensazione di angoscia: dove vado? Dove porta questa scala?
C'è un nuovo vuoto da superare, che si presenta all'improvviso, perchè chi sale non vede altro percorso, tranne un secondo ponte sospeso, fin quando non arriva in cima alla scala. Poi guarda alla sua destra dove una porticina chiusa è il primo invito a fermarsi, col dubbio che da lì si possa ridiscendere.
Non c'è altro da fare che attraversare quello spazio sospeso e cercare di capire se quell'ingresso ad arco che ci sta di fronte si aprirà o rimarrà chiuso, lasciandoci nella condizione di 'color che son sospesi'.

È da qui ha inizio quel momento magico che ci trasporta non solo nello spazio, ma nel tempo.
Tutto quello che ho scritto finora è frutto dell'osservazione costante, in decenni di insegnamento, degli occhi dei miei alunni. Vi do la mia parola d'onore, parlo di quasi quarant'anni passati a scrutare i loro sguardi mentre si muovevano. Sempre gli stessi. Dal più monello al più timido, nella loro prima esperienza si comportavano tutti allo stesso modo.
La porta d'ingresso nella torre nei primi anni era priva di serratura ed era semplicemente socchiusa, il che provocava quel piccolo panico di trovarsi sospesi senza saper dove andare ed essere costretti a tornare indietro, a costo di sembrare vili agli occhi dei compagni che sopraggiungevano. Quel po' di paura o di insicurezza era il 'viatico' per accedere nel passato.

A voi sembra poesia, ma per me era pedagogia. Spingevo la porta, o la aprivo, e mi giravo per osservare nuovamente i volti e gli sguardi degli alunni mentre entravano, senza dire una parola, nè loro e nè io.
Una volta entrati tutti, andavo a chiudere la porta, perché la penombra e il silenzio di quella stanza ci isolassero ancora di più dal mondo esterno.
Poi dicevo qualcosa, spiegavo, sapendo che nessuno mi avrebbe ascoltato in quei momenti, perchè tutti vagavano in quell'antro circolare così diverso e insolito, guardandosi in giro per scoprire tutto ciò che era alla vista di tutti e infilando una mano nelle cavità della circonferenza muraria, sperando di trovarvi, i più ingenui, una moneta antica.
Io conoscevo il seguito e l'esito di questo primo impatto, perché ogni anno accadeva sempre la stessa cosa: un alunno, di solito il 'monello', allontanandosi dagli altri, gridava che aveva scoperto una scala, per poi chiedermi dove andasse a finire, senza minimamente accennare ad intraprendere da solo quell'avventura.
Sempre uguale, lo giuro, sempre la stessa pantomima: vai, scendi, diceva uno, e l'altro, vacci tu. Ti 'spagni', no, è che non c'è luce (allora non c'era l'impianto di illuminazione) si giustificava l'altro.
Io fingendo di ignorare quella 'scoperta' (ma anche altre) ripetei per anni la stessa risposta: non lo so, adesso ci andiamo, e cautamente li precedevo chiedendo di fare silenzio perchè se ci fossero stati dei rumori li avremmo percepiti bene.
Quali rumori? chiedevano. Voci, rispondevo. E c'era sempre chi non voleva scendere.
Una volta entrati in quell'enorme stanza dicevo e lo ripetei tutti gli anni e lo dico tuttora: ecco ora siamo nel Medioevo. E poichè quella stanza era 'sotto' la considerai sempre una prigione e così la presentavo agli alunni, aggiungendo sempre che l'imperatore Federico II vi avrebbe voluto rinchiudere il proprio figlio, Errico VII, lo sciancato, accentuando anche la menomazione dello sfortunato giovane, per dare un'immagine simbolica di un'epoca efferata.
Non mi ponevo affatto il problema se la torre esistesse al tempo di Federico II e se fosse vera la destinazione dell'illustre prigioniero. Facevo anche ricorso al nome del Guiscardo per parlare in quel luogo delle sue imprese che apparivano più credibili, perchè contestualizzate.
Vivere un evo non è cosa da poco. Stando immersi nel nostro tempo, in un aula, seduti in un banco, non viviamo un'epoca, la studiamo, ne impariamo i vari aspetti storici, ma viverla entrandovi è un sapere che non si dimentica.

Avrò anch'io le mie colpe nell'aver puntato più sul sensazionale che sul raziocinio, ma la nostra torre è soprattutto questo: un condensato di storia medievale, da cui possiamo starne al di fuori, studiandone origini, struttura, funzioni, oppure entrarvi e viverla a nostro piacimento, sapendo che ne` il Guiscardo, nè Federico II, nè un Sangineto o un Sanseverino si posero, o si sarebbero mai posti, problemi sul futuro di un proprio manufatto, avendo a cuore il proprio presente.

Un'ultima memoria riguardante le periodiche visite alla torre: quando si raggiungeva il terrazzo unanime era la sensazione di essere 'resuscitati'. E ancora adesso, lo sappiamo tutti, è quella sensazione di dantesca memoria che provano tutti i visitatori.
Sensazioni, emozioni, scoperte. La storia è anche questo, al pari dello studio, delle ricerche, degli approfondimenti. Alcuni alunni uscivano da questa esperienza soddisfatti, altri pieni di curiosità. Ora sono tutti adulti e in grado di valutare le loro esperienze.

UN GRANARIO PUBBLICO?

In chiusura, avendo parlato da insegnante, voglio chiedere invece, indossando questa volta i panni dell'alunno, se qualcuno sa dirmi, o sa darmi un suo parere, sull'ultima stanza della torre, la stanza sotterranea (nella sezione al n.1), quella buia, tetra, impraticabile, sprofondata nella motta, denominata delle granaglie. Perché ha la copertura, la volta a sesto acuto, molto più alta e più pronunciata delle altre?
Al di là dell'aspetto stilistico che ne potrebbe determinare l'epoca di costruzione, da un punto di vista strutturale quella copertura avrebbe la funzione di scaricare lungo la circonferenza del muro perimetrale, estremamente resistente perché interrato, un carico notevole.
Quale poteva essere la funzione della stanza soprastante da richiedere una struttura così forte ovvero cosa gravava, o avrebbe potuto gravare, sul solaio di tanto pesante?
Lo chiedo perchè la 'tradizione' non ne parla e a me, che sono curioso, interessa sapere perché quella stanza sotterranea presenta caratteristiche costruttive diverse dalle altre.
Sarei curioso, inoltre, di sapere se quel vano sotterraneo, privo di luci, fu costruito prima, dopo o contemporaneamente alla realizzazione del rivellino o motta.
Fin da quando feci un filmato durante il restauro del 1993, nel vedere quella enorme cupola ogivale, rinforzata da rete metallica e colata di cemento, mi chiesi quale fosse la funzione della poderosa struttura originaria. Lo chiesi a vari tecnici, ingegneri e architetti, sia addetti al restauro, che esterni, inclusi esperti d'arte e di storia, ma nessuno seppe darmi una risposta, ritenendo, suppongo, che la questione non avesse l'importanza che io le attribuivo.1
Se c'è qualcuno che possa soddisfare questa mia curiosità, anche attraverso una propria opinione, scrivendo una e-mail all'indirizzo sottostante, lo ringrazio fin d'ora.
Qui sotto due immagini della stanza sotterranea: la sezione con il n.1 e un 'frame' del video durante i restauri della volta

Sezione della torre Volta stanza sotterranea


San Marco Argentano, 1 luglio 2023

Paolo Chiaselotti

1Il fatto che il vano si trovi sotto terra, dove in genere venivano conservate derrate alimentari, potrebbe far supporre che l'ambiente sia stato scavato nella roccia. Se così fosse quella volta ogivale sarebbe ben altra cosa. Si tratterebbe della volta di una fossa granaria e non c'entrerebbe affatto il carico superiore, bensì la sua forma sarebbe il risultato di uno scavo a forma di tholos o volta a campana! Le dimensioni enormi della camera non giustificherebbero l'uso di essa per la conservazione di rifornimenti interni, ma farebbero supporre un 'ammasso granario' per un uso molto più vasto. I monti frumentari o annone erano istituzioni importantissime ('Annona cura maxima in urbe geratur, quia sine annonâ vivere non possumus et ideo granaria sed horrea pubblica constituenda sunt', da Dissertatio De Urbis Consitutione di Matthia Berneggeri, 1524).
Sarebbe importante che il Comune recuperasse presso la Soprintendenza il maggior numero di dati e di informazioni riguardanti i lavori di ristrutturazione avvenuti negli anni Novanta. In ogni caso sarebbe opportuna una ispezione speleologica per i primi rilievi fotografici e in base ai risultati chiedere eventualmente alla Soprintendenza l'avvio di un'indagine archeologica, anche perché le pareti della roccia potrebbero essere state ricoperte e consolidate in muratura.

NOTA : Le visite scolastiche nella torre erano in qualche modo preparate e spesso alcune 'scoperte' erano provocate, confidando nella curiosità e nella spavalderia dei 'monelli', i primi, ad esempio, ad infilarsi nella stretta scalinata che dal rivellino porta fuori dal complesso. Un tempo non si era ancora scoperto che fosse una via di uscita e l'esploratore di turno ritornava con l'aria di chi aveva sfidato l'incognito, per spiegare, poi, ai compagni che una grossa ruota di pietra (di mulino) ostruiva il passaggio. E questa nuova scoperta era l'occasione per parlare del famoso camminamento sotterraneo, dei nemici che stavano a Malvito, di Sichelgaita e di altre leggende ...


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