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LA PERSUASIONE


Il dottor Filiberto Tranquilli aveva cessato da pochi anni la sua attività di medico internista in un grande ospedale del Nord. Di rado faceva ritorno al suo paese natio nel Sud Italia.
Era inevitabile, dato che era troppo conosciuto in quelle contrade, incontrare persone che erano state compagni di infanzia, alle scuole o nei giochi. O molto più spesso figli già grandi e nipoti di quelli che erano stati ragazzi.
Era altrettanto inevitabile che venisse fermato e insieme al saluto gli venisse posto qualche quesito, così, on the road, quesiti rapidi che richiedevano una risposta altrettanto rapida. Quando era da quelle parti, era usuale che facesse anche una visita al cimitero. E fu proprio lì che avvenne l'incontro casuale che viene raccontato.
Si era entrati in quella che veniva chiamata la quarta ondata della pandemia Covid che durava da due anni. La società si divideva, come sempre, tra gli entusiasti e gli ostili ai vaccini e coloro che non si persuadevano né del virus né delle cure.
Uscendo dal cancello del cimitero per rimettersi in macchina il dottor Filiberto, che un po' per vezzo un po' sul serio amava dare a se stesso la denominazione di uomo senza qualità, si sentì chiamare da dietro le spalle. Lo riconobbe subito: era uno dei custodi del luogo, che qualche anno prima gli si era avvicinato, sempre lì al cancello, per chiedergli se poteva prendere al massimo uno o due caffè al giorno e tenere al tempo stesso sotto controllo la pressione.
Quella volta Filiberto era stato un po' brusco e ironico e gli aveva risposto: "Guarda, Nicola, che fino a quando siamo al di qua del cancello é meglio che non ci poniamo questi quesiti, il problema è quando saremo dall'altra parte."
Questa volta l'uomo gli si era avvicinato solo per un saluto. Visto che avevano entrambi il viso coperto da una mascherina, di quelle azzurrine che chiamano chirurgiche, fu il dottore a incalzare per primo.
"Eeh, cosa vuoi farci, dovremo portare ancora questa roba sulla bocca e sul naso" e l'altro gli rispose pronto: "Già, ormai siamo tutti con la museruola." Poi continuò: "Sapete dottore,"
-il voi è d'obbligo nelle regioni meridionali e se si incontrano due cosentini si passa rapidamente al vussurìa-
"io, però, a questa cosa non ci credo poi così tanto. Mi sono vaccinato, ma resto incredulo del fatto che sia poi questa gran cosa. Com'è possibile, e in tutto il mondo."
Interpellare su quel tema il dottor Filiberto era come invitar l'ubriaco a tirar sassi, come si sentiva dire in Toscana.
Era dall'inizio della pandemia Covid che Filiberto Tranquilli si era messo a studiare l'unica grande pandemia di cui aveva ricordo dai racconti dei nonni e che si era manifestata con particolare virulenza proprio da quelle parti.
Si era appassionato Filiberto all'argomento dopo che aveva letto un corposo lavoro fatto da tre biologhe molecolari di Brisbane, Australia. Ne aveva presente sempre il titolo che lo intrigava, Ritorno al futuro, lezioni apprese dalla pandemia influenzale del 1918.
Avendo presente questo titolo si rivolse di nuovo al custode Nicola.
"Ma sì, Nicola, in tutto il mondo, proprio come un tempo fu la spagnola. Ve ne avranno parlato certamente in casa gli anziani."
Poi continuò per convincerlo: "Se passate da questo vialetto del cimitero noterete tra le tombe delle iscrizioni, senza foto perché non ce n'erano a quei tempi, in cui, però, si notano due cose, sono nomi di donne e di donne morte intorno ai venticinque anni."
Nicola non se lo fece dire due volte, disse solo "aspettate un attimo per favore" e si diresse verso il vialetto che gli aveva suggerito il medico. Tornò trafelato. "Avevate ragione, ne ho trovato una, Marietta n. il 1895, m. il 1917."
Il medico aggiunse: "Ora, non posso dire con alcuna certezza che sia stato l'effetto della spagnola, ma considerata l'età e il periodo potrebbe essere possibile, perché morivano in prevalenza con quel virus donne giovani e spesso in gravidanza ... Anche allora ci furono la terza e la quarta ondata della pandemia."
Poi sempre con l'intento della persuasione continuò: " ... e poi me lo ricordo anche di altre malattie, negli anni Cinquanta, quando ancora non c'erano vaccini estesi e ogni giorno a mezzogiorno le campane della Chiesa Madre suonavano 'a gloria', e quel suono significava che era morto un bambino, sai a quei tempi il morbillo, che non sono solo le macchie sulla pelle, ma comporta rischi notevoli di infezione al cervello e altro ancora, e poi ancora la pertosse, la poliomielite, poi arrivarono i vaccini. Quindi non vi meravigliate se queste malattie infettive colpiscono tutto il mondo."
Nicola ricordò "Eh sì, anch'io da bambino ho avuto la poliomielite e son rimasto per fortuna solo un po' zoppo." E subito dopo: " Sì, va bene quello che dite, e forse dietro questo cancello ce n'è la prova, ma secondo voi è possibile che abbiano potuto fare un vaccino contro una malattia mondiale in soli due mesi?"
Il dottore si rese subito conto che questa era la domanda più insidiosa che metteva tutti i dubbi e sfoderò quel che sapeva e che doveva fugare tali dubbi. Quindi gli rispose prontamente:
"Non due mesi Nicola, ma solo quindici giorni. Dopo la scoperta del virus c'è stato uno scienziato americano" -si riferiva a Barouch, ma senza citarlo, ché sarebbe stato uno sfoggio inutile di cultura, visto che stava parlando con un conoscente, non a un congresso- "che aveva già fatto vaccini contro virus terribili che fanno morire milioni di persone in Africa" -pensava all'Ebola- "che ha avuto l'idea di utilizzare lo stesso metodo anche per il coronavirus. E ci è riuscito."
Poi, volgendo lo sguardo e un cenno allo smartphone che l'interlocutore aveva in mano, aggiunse a mo' di chiosa, "e poi oggi con tutte queste tecnologie ..."
Filiberto aspettava ancora qualche risposta, o almeno qualche domanda. Il fine della persuasione, in quel luogo, lo stimolava, ma l'altro aggiunse soltanto: "Sapete cosa vi dico, che i dubbi mi restano, ma ora che mi avete detto così sono più convinto, più persuaso."
Filiberto lo salutò e si mise in macchina, molto contento di essere riuscito con un breve ragionamento a rendere persuaso il custode "e almeno stavolta non mi ha chiesto dei rapporti tra caffè e pressione arteriosa", disse fra sè. Ma gli venne in mente anche il titolo dell'opera di Carlo Michelstaedter, La persuasione e la rettorica, e si convinse che il motivo per cui ci fosse poca persuasione in giro era perché c'era troppa rettorica -con due TT- anche se i contesti tra il colloquio avuto pochi minuti prima e le acute riflessioni del filosofo triestino erano molto diversi, così come il riferimento profondo alla persuasione e alla rettorica.


Firenze, 4 settembre 2021

Roberto Salerno

I nomi dei personaggi sono inventati, i fatti narrati son fin troppo realistici (N.d.A.)
In alto copertina del libro di Riccardo Chiaberge, 1918 la Grande Epidemia, 2016, UTET

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