di Giancarlo Chianelli
Non è la prima volta che succede. Ci vogliono diversi giorni affinché riesca a realizzare mentalmente ogni nuova
avventura o un semplice viaggio di piacere.
Così è anche stavolta. La nostra visita ai campi di sterminio di Auschwitz e Birkenau mi tormenta, mi appassiona e mi fa porre sempre la stessa domanda: PERCHÉ?? Raccontare la visita di Auschwitz e Birkenau è quasi superfluo; tutti noi abbiamo letto, guardato film o documentari, eventi commemorativi, ecc... Voglio, tuttavia, sottolineare alcuni aspetti che si provano varcando quel famigerato cancello con l'emblematica scritta "ARBEIT MACHT FREI", il lavoro rende liberi. Una scritta che già sapeva di beffa, e di questo ne era consapevole il fabbro polacco che la la forgiò, tanto che si volle "vendicare" dei nazisti facendo la B capovolta, ma questo è soltanto un piccolo dettaglio. Arriviamo sul posto verso le 14, il piazzale era pieno, autobus e genti di ogni luogo, un timido raggio di sole ci accompagna all'ingresso di Birkenau. All'entrata, due vagoni treno fermi sui binari ancora originali, sono il debutto del dolore. Lì venivano stipati tra le sessanta e ottanta persone, senza cibo e acqua, in condizioni disumane. Molte di loro arrivavano al campo già morte, chi sopravviveva, giungeva sulla "jude rampe" (rampa degli ebrei), dove terminavano i binari. All'interno della fabbrica della morte, filo spinato con le scritte di pericolo in tedesco e polacco, torri di guardia, baracche e le macerie dei forni crematori e delle camere a gas fatti saltare in aria dai tedeschi prima di abbandonare il campo. Il silenzio del luogo e di tutti i visitatori presenti non fa altro che accentuare la tristezza e la commozione, quasi si udissero le grida di quella povera gente. L'autobus ci porta al campo di Auschwitz distante due chilometri. Per entrare, oltre al biglietto, serve anche un documento d'identità. Controlli di sicurezza, con scanner tipo aereoporto, ci introducono in un viale tutto nuovo in cemento. Lungo il percorso, una voce, come un lugubre accompagnamento nell'accesso al campo, ripete senza sosta negli altoparlanti i nomi degli internati. Arriviamo al famoso cancello con la scritta; scattiamo una foto, alcuni la fanno girati di spalle, molti chiedono aiuto a qualcuno. Iniziamo a visitare le prime baracche: foto dei prigionieri, abiti e altro, poi le sale dove venivano fatti gli esperimenti medici a donne e bambini e le celle di tortura dove alcuni di loro venivano rinchiusi. Entriamo nella baracca pi ù triste: una vetrina con una montagna di capelli e accanto una coperta realizzata con gli stessi, le protesi, stampelle, bastoni, le valigie e le borse ancora con le scritte dei nomi con gesso o vernice bianca, le scarpe, montagne di scarpe per grandi e piccoli, di ogni colore. Ne abbiamo notate un paio piccole, rosse, da bambino e una vetrina con i loro vestitini: è stato un pugno nello stomaco. Giriamo increduli tra i viali dove tanto orrore venne consumato e troviamo il muro dove venivano fucilati coloro che tentavano inutilmente la fuga. Fiori e candele testimoniano la loro tragica fine. Non stanchi, ma affranti da tanto orrore, ci avviammo verso l'uscita verso le sei di sera. Iniziava a calare una nebbia leggera. Il silenzio era scandito solo dai nostri passi, rendendo ancora più tragico quel luogo che ci lasciavamo alle spalle. Sul piazzale l'autobus ci aspettava. Prima di salire abbiamo mangiato dei biscotti e delle banane, più per abitudine che per appetito. Il ricordo di ciò che avevamo visto rendeva irriverente ogni azione a cui eravamo abituati. Rientriamo a Cracovia dopo circa un'ora di viaggio nel silenzio assoluto e con l'animo fortemente turbato. Per concludere voglio dire soltanto che erano anni che sognavo di poter rendere omaggio alle vittime dell'olocausto. Abbiamo scelto di compiere il viaggio in occasione del mio 60° compleanno. Sentivo doveroso farlo, come atto di riconoscenza verso chi non aveva avuto la mia stessa fortuna. Un grazie infinito a mia moglie, sia per l'organizzazione del viaggio e sia come traduttrice, visto che non parlo inglese e ancora meno il polacco! Consiglio vivamente a tutti ad intraprendere questo viaggio, specialmente ai giovani, alle scolaresche, per vedere con i propri occhi dove la malvagità umana toccò la sua massima espressione. Giancarlo e Katia Chianelli Auschwitz - Birkenau, 8 ottobre 2025 Altri racconti di Giancarlo Chianelli: soltanto i morti ... - Caduto per la Patria - U 'mmasciaturu - Una giornata al Pettoruto - Pere a quintali |
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