Indice Genealogie
I GETTATÈLLI


In un documento inedito di inizi Seicento, riguardante il resoconto delle uscite sostenute dalla Congrega dell'Immacolata, conservato nell'Archivio della famiglia Selvaggi e cortesemente messo a disposizione dal dott. Giorgio, troviamo la seguente voce di spesa:
Alla Stamile che have allattato lo gettatello
seguita dall'importo che fu dato alla donna.
Che cosa significava "gettatello"? Letteralmente il vocabolo è il diminuitivo di gettato, usato come sostantivo, ma volendo spiegarne il significato con altre parole diremmo che si tratta di un bambino buttato via e, visto che il documento in parola contiene alcune parole dialettali italianizzate, possiamo ritenere che i gettatelli a San Marco fossero chiamati i jettatièddri, così come gli orfani erano chiamati pupiddri, e i nati dopo anni dall'ultimo figlio pusturieddri.

Se la parola gettare può sembrare orribile o esagerata, pensiamo all'espressione gettare il bambino con l'acqua sporca e, per restare nel nostro ambito territoriale, ancora oggi, con riferimento alla località la Motta i più anziani affermano che "na vota ci jittavanu i picciriddri".
Ma come, dove e quando veniva 'gettato' un bambino appena nato, o nato da pochi giorni? Quasi sempre nottetempo. Le modalità dell'abbandono erano diverse a seconda dei luoghi e dello stato emotivo di chi compiva l'azione.
I bambini non venivano gettati o buttati come si potrebbe credere, ma deposti su un gradino presso una casa, una chiesa, un edificio pubblico o sotto un albero lungo una strada transitata, affinchè venisse trovato.
Quando veniva lasciato presso un'abitazione, chi lo abbandonava lanciava un grido o un richiamo, aspettando che qualcuno si affacciasse sull'uscio di casa per poi fuggire senza essere riconosciuto.

Per evitare questo genere di abbandoni in cui il nato rischiava di morire, le comunità religiose, e più tardi i Comuni, utilizzarono la cosiddetta 'ruota dei projetti', una cassetta girevole in cui il piccolo veniva deposto dall'esterno e, a lato, un campanello per avvisare che c'era un 'fardello' da accogliere.
Anche a San Marco vi furono due di queste ruote: una negli anni dal 1813 al 1817 presso l'abitazione di Angela Credidio, nel quartiere Santo Petruzzo (oggi via fratelli Cairoli e via Coriolano Martirano) e un'altra, lungo la cosiddetta via Occidentale, oggi via Mirabello, presso l'abitazione di una monaca laica, suor Crocifissa Rondinello, nel periodo post-unitario dal 1864 al 1878. Le due donne, retribuite dal Comune, erano dette pie ricevitrici.
Perché la ruota veniva chiamata dei projetti? Perché projetto equivaleva a gettatello, ma aveva un vantaggio, 'edulcorava' il termine troppo esplicito di gettatello ed essendo parola dotta non era del tutto compresa.
Projetto, che significava lanciato davanti a sè, finì per diventare un cognome, ma col tempo, avendo dato luogo ad omonimie, fu sostituito con cognomi di fantasia a discrezione dell'ufficiale dello stato civile. Il termine projetto rimase solo ad indicare la condizione di figlio di genitori ignoti.
Ben presto, però, anche projetto non venne più usato e dagli inizi degli anni Venti dell'Ottocento venne introdotta una nuova voce, Esposito, ricavata dalla consuetudine di esporre i bambini per le adozioni. La nuova definizione fu anch'essa trasformata in cognome, che divenne tanto utilizzato nelle registrazioni, da rendere impossibile distinguere gli omonimi, senza conoscerne l'esatto giorno di nascita.
In aggiunta a ciò il cognome era assegnato anche a chi aveva una madre regolarmente registrata, ma di padre ignoto. Tale condizione sociale era una specie di marchio che segnava a vita chi lo portava, per cui, ad esempio, un ipotetico Arrigo Pelletto Esposito indicava che egli era figlio di una donna di cognome Pelletto e di padre ignoto. Accadeva, talvolta, che l'uno o l'altro dei due cognomi non fosse riportato negli atti ufficiali, trasformando l'Arrigo ora in un Esposito ora in un Pelletto, con le conseguenze che si possono immaginare.
La soluzione fu un ritorno ai cognomi di fantasia, che nel frattempo si erano diversificati, attingendo anche a figure prestigiose del passato. Gli uffici anagrafici si erano dotati di lunghi elenchi di cognomi di varia provenienza ed ispirazione che venivano assegnati ai nati ad arbitrio dell'ufficiale d'anagrafe, facendo finalmente finire l'epoca dei Proietti e degli Esposti.
Per quanto possa sembrare strano, il termine proietto, nonostante l'epoca napoleonica fosse finita da un pezzo, fu usato negli anni Novanta dell'Ottocento per indicare chi aveva l'incarico ufficiale di occuparsi dell'infanzia abbandonata, per indicare ancora la Deputazione Provinciale e la commissione locale, per le funzioni istituzionali a favore 'dei proietti'. La voce fu sostituita con la definizione 'degli esposti' nei documenti successivi.

Qualcuno si chiederà se gli abbandoni continuarono anche negli ultimi anni dell'Ottocento. Purtroppo continuarono, in numero consistente e soprattutto seguendo una direttiva del Comune che di fatto indirizzava tutti gli abbandoni verso un'unica casa ed un'unica persona, come risulta dai trenta trovatelli, tutti abbandonati dinanzi la porta di una donna in contrada Riforma, nel 1880. Ma anche negli atti successivi, pur variando il numero delle dichiaranti, il fatto che a dichiararne il ritrovamento fossero donne che avevano propri figli da allattare, fa nascere il sospetto che il Comune in qualche modo tollerasse la pratica di affidare il neonato alla donna presso la cui casa era stato abbandonato, sapendo che il ritrovamento era frutto di un accordo tra la madre naturale e la balia retribuita dal Comune.
Nel caso non fossero stati dati a balia i nati venivano avviati all'Ospizio di Cosenza.
Negli anni successivi all'Ottocento non si verificarono più abbandoni, tranne casi rari, in quanto la madre non sposata poteva dichiarare alla levatrice la propria volontà "di non voler essere nominata" nell'atto di nascita, rinunciando di fatto al riconoscimento del proprio figlio.


San Marco Argentano, 20 ottobre 2022

Paolo Chiaselotti

Un esempio di registrazione anagrafica a San Marco di un infante abbandonato nel 1811, sotto il regno di Gioacchino Murat
Rosanna Lanzillotta di anni cinquanta dichiara di aver trovato innanzi la porta di casa della sua abitazione in contrada Gravina un bambino che ci ha presentato, involto d'una fascia di tela semplice vecchia, senza fasciatorello, col pannicello di londrino rigato verde e rosa, e nella testa tenea una coppola di tela battista rigata bianca vecchia ed un mezzo fazzoletto di tela olanda usato. Il bambino risulta essere nato da circa un mese e nel suo corpicciuolo denudato non tenea verun segno apparente. Lo abbiamo dato a nutrire a Rosa Matano di anni 34. Testimoni all'atto sono Gaetano Abbate di anni 61 bracciale e Paolo Misoraca anni 48 calzolaro.
Al bambino, che morì l'anno successivo, era stato dato d'ufficio il nome Serafino Romito.



"GENEALOGIE" e "ACCADDE OGGI" sono due rubriche curate da Paolo Chiaselotti
Up
LA STORIA LE STORIE

RACCONTA LA TUA STORIA
info@lastorialestorie.it