Indice Genealogie
GENEALOGIE SANMARCHESI


S'IGNORA.



Dopo tante genealogie questa volta voglio occuparmi di coloro che alla loro morte non lasciarono alcuna traccia della loro appartenenza, se non a quella della specie umana. Una serie di "si ignora" apostrofati completava le voci riguardanti il loro cognome e i nomi dei genitori. Insomma di queste persone si conosceva solo il nome, e in un caso neppure quello.
Fra Giuliano, monaco laico riformato di Sant'Agata, è il primo di questa lunga serie. Era morto il diciassette marzo del milleottocentosedici nel convento della Riforma all'età di sessantasei anni, seguito dopo alcuni mesi da Fra Pasquale, monaco professo, anch'egli nativo di Sant'Agata, del quale ignoriamo finanche l'età.
Mi chiederete: Non hai mica intenzione di elencarci tutti i nomi?
Rispondo: Assolutamente no! Tuttavia vi do alcune informazioni che ritengo possano avere un qualche interesse. Ad esempio nel milleottocentodiciassette morì nell'ospedale di San Marco -cosa da non credere, esisteva un ospedale- un soldato, certamente dell'esercito borbonico, nativo del comune di Francavilla, di quarantacinque anni. La sua morte? un fatto occasionale e privo di alcuna importanza ai fini dello stato civile. Non era di San Marco, forse poteva essere un disertore e quindi il trapasso all'altra vita fu registrato semplicemente come la morte di Biagio, anzi di Biaggio.
Il caso dei due frati, ma nel corso del secolo ne troveremo altri due, è diverso in quanto i religiosi erano conosciuti tutti con l'appellativo frate, o nella forma abbreviata fra, seguito dal nome, talvolta quello di battesimo, altre volte di devozione. La differenza, come sempre accade, non la fa l'abito del defunto, monaco o soldato che sia, ma la sua condizione sociale, per cui i quattro fratelli ignoti sono una piccolissima parte rispetto a quanti furono registrati con tanto di cognome e nome dei genitori.
Le donne in questi casi erano nettamente superiori agli uomini, nel senso che il numero di quelle registrate alla morte con il solo nome supera di gran lunga quello dei maschi. Il motivo è semplice: o si trattava di serve, o di vedove, o di donne prive di dimora o semplicemente perché nessuno si preoccupava di verificare se quel nome comparisse in altri atti. Un esempio? Isabella una donna di quarantesei anni, morta nell'ospedale nel milleottocentoventitre, fu dichiarata da Giuseppe Russo e da Francesco Cuscino, entrambi domiciliati alla Portavecchia, prossima all'ospedale. Isabella aveva perso nel milleottocentoundici una figlia di tre anni, la cui morte fu registrata con i nomi dei genitori: Isabella Mauro e Giuseppe Addino. Certamente tutti sapevano che Isabella era la vedova di quel tal Giuseppe, ma non conoscevano il cognome di lei. Poco male e nulla di strano: Isabella fu registrata semplicemente come vedova di Giuseppe Addino. L'avversione per le leggi napoleoniche che imponevano rigorosi criteri nella registrazione di nascite, matrimoni e morti, in quest'ultimo caso erano quasi giustificabili. A chi mai poteva interessare il cognome di una donna morta? E così per tutto il periodo del governo borbonico ad iniziare dall'anno successivo alla caduta del governo di Gioacchino Napoleone Murat, cioè il milleottocentosedici, fino al milleottocentosessanta, Stefana, Briggida, Teresa, Isabella, Elena, Maria, Anna Maria, Maddalena, Vincenza, Rachele furono sepolte e ricordate solo per il loro nome e per essere state serve mendicanti o vedove di Bonifato di Foscaldo di Torano o di chissà dove.
E gli uomini? Beh, erano di meno, solo tre, ma non da meno. Anch'essi poveri cristi, due mendicanti, o mendichi come si diceva allora e l'altro un ragazzo di San Fili, morto in località Ponticello. Si chiamava Giuseppe e aveva sedici anni. Era il dieci gennaio del 1856.


Vedi anche Registri anagrafici

San Marco Argentano, 1° marzo 2021

Paolo Chiaselotti

"GENEALOGIE" e "ACCADDE OGGI" sono due rubriche curate da Paolo Chiaselotti
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