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LA STORIA SOTTO TORCHIO ...



Pressa a mano tipografica

È la prima volta che scrivo la storia di un oggetto, anche se la definizione non è del tutto esatta, in quanto dell'oggetto in sè conosco poco, mentre so a quale uso, forse improprio, fosse stato destinato dai suoi ultimi proprietari, ma soprattutto attraverso di esso sono in grado di tracciare un percorso di vita di questi ultimi e, da questa una storia ben più ampia.
Ecco perché ho scelto quell'insolito titolo di apertura, quasi che la funzione di questo oggetto possa essere applicata alla storia, spremendola fino a ricavarne ... un estratto.

L'origine della storia è, come quasi sempre mi accade, casuale o, per meglio dire, casualmente cercata, in quanto credo che ognuno di noi sia sempre alla ricerca di qualcuno o qualcosa che appaghi bisogni e desideri. Sta di fatto che scorgendo la presa di un vecchio torchio abbandonato in un magazzino, mi sono ricordato che la sua proprietaria mi aveva spiegato che veniva usato per fare le copie ...

Per quanto io ricordi, all'epoca del racconto, sotto la piastra c'erano banconote vecchie e spiegazzate, che la pressione del torchio avrebbe reso di nuovo utilizzabili. Quest'uso improprio, allora, non mi portò ad alcuna riflessione, mentre la storia della sua funzione mi incuriosì talmente che da allora consideravo quella pressa l'antenata della 'fotocopiatrice'.

La signora mi spiegò come suo padre, un vecchio commerciante di generi diversi, utilizzasse quell'arnese.
Ogni qualvolta che scriveva a mano un documento, una fattura, una dichiarazione, una nota spese ecc., utilizzava una matita copiativa, per capirci quelle che lasciano un segno bluastro, non cancellabile, ancora oggi utilizzate sulle schede elettorali. Quel tratto di matita, se inumidito, lascia traccia di sé sulla superficie con cui viene a contatto. Partendo da questo principio, l'anziano commerciante poneva il documento da riprodurre su di un feltro, poi vi sovrapponeva un foglio inumidito, molto sottile e trasparente, quindi un altro feltro sopra. Il tutto veniva infilato sotto la piastra metallica del torchio. L'avvitamento schiacciava la piastra garantendo il trasferimento della scrittura con matita copiativa sul foglio vergine. Il testo veniva impresso alla rovescia, ma poteva essere letto dall'altro lato del foglio, sollevandolo alla luce o su un fondo bianco ben illuminato.

Non saprei dire se quell'applicazione fosse una trovata originale o se fosse un metodo comunemente usato; nel cercare una risposta a questo interrogativo ho trovato sempre e soltanto che il torchio veniva impiegato dai tipografi nella rilegatura dei libri o nella produzione di piccole stampe con matrici a rilievo intrise d'inchiostro.
Il fatto che quel torchio, esaurita la funzione di 'fotocopiatrice', fosse diventato 'stireria' di banconote logore, mi ha fatto riflettere sul motivo per cui un commerciante dovesse dotarsi di un torchio tipografico per un uso diverso da quello per cui era nato. Certamente esso doveva appartenere ad un tipografo o ad un rilegatore di libri, per cui questo passaggio da un artigiano ad un commerciante mi sollecitava considerazioni diverse. La principale era di di carattere socio-culturale, ovvero il perché uno strumento di lavoro fosse passato di mano. Trattandosi di commercio di generi diversi, era difficile che un torchio potesse servire al suo esercente, mentre è probabile che esso potesse trovarsi in quel negozio a seguito di un pegno, un sequestro giudiziario, il corrispettivo di un debito ecc.

In aggiunta a quanto detto, il nome dell'attrezzo mi ha riportato alla mente l'azione che esso compie attraverso un costante avvitamento che finisce per schiacciare ciò che sta al di sotto di esso. La sua funzione, riflettendo sull'applicazione che un simile congegno ebbe nel corso dei secoli, poteva essere di tutt'altro genere, ovvero quella di spremitura di frutti per ricavarne l'essenza, ma anche quella di torturare qualcuno per indurlo a dire ciò che teneva segreto. Torchiare e pressare sono verbi che applichiamo non solo alla spremitura, ma anche all'uomo. Lo strumento di morte usato fino al secolo scorso in Spagna era la garrota, ovvero un congegno che tramite avvitamento serviva a strozzare il condannato.

Non è per caso che alla stessa immagine violenta si faccia ricorso nel caso di chi è strozzato dai debiti o quando utilizziamo le parole strozzinaggio o strozzino per indicare chi esercita l'usura.
Ecco che quello stesso strumento, da innocuo schiaccia-valute, spinge la nostra mente a considerare la funzione terrificante dell'oppressione piuttosto che della semplice pressione su dei fogli di carta.
Nei giornali di un tempo le vignette che volevano rappresentare un regime dispotico lo raffiguravano come un'enorme torchio che schiacciava una o più persone e l'espressione mettere sotto torchio qualcuno ancora oggi significa obbligarlo a confessare contro la sua volontà.

Potrei estendere le mie considerazioni nel merito di un'economia quale si sviluppò nel corso della seconda metà dell'Ottocento, qui a San Marco, come in altri paesi dell'entroterra, trasformatisi da piccoli borghi medievali in centri commerciali. Chi apriva negozi e botteghe aveva capitali e poteva acquistare a poco prezzo immobili venduti da chi era emigrato o averli in pegno in contraccambio di prestiti per le spese di viaggio. Sarebbe troppo lungo e complesso descrivere come avvenne questo passaggio economico e sociale, ma avvenne, a beneficio dei nuovi investitori.

Insomma quell'oggetto impropriamente passato di mano potrebbe anche esserne una testimonianza. In ogni caso, l'immagine negativa che ne scaturisce risiede non nell'oggetto in sé ma dall'uso che se ne fa. Quando esso fu nelle mie mani, perché abbandonato dal suo proprietario, lo utilizzai per fare delle stampe da alcune matrici in linoleum incise dai miei alunni. Lo portai a scuola e quell'operazione affascinante e magica riscattò il suo più recente passato, puramente venale, assolvendo ad uno scopo sociale ben diverso da quello a cui la storia lo aveva confinato.

All'origine di queste riflessioni c'è la narrazione della proprietaria dell'oggetto, senza la quale non sarei mai potuto arrivare al concetto di autenticità, a quello dell'usura, a quello più generale dei diritti dell'uomo. E voglio sperare che la mia narrazione, quella cioè di un educatore, possa essere servita a far comprendere come un generico oggetto d'antiquariato sia privo di qualsiasi valore, se non è accompagnato dalla sua storia.



San Marco Argentano, 12.2.2024

Paolo Chiaselotti
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