I TRIVOLISI.

C'era una volta, a San Marco Argentano, una contrada chiamata "Trivolisi". Il nome compare per
la prima volta nel 1632, nella cosiddetta Platea delle Monache di Santa Chiara. L'ultimo documento
in cui troviamo registrata questa contrada è un atto di morte del trentuno gennaio milleottocentotrentanove.
La contrada è citata anche dallo storico Domenico Martire, vissuto nel Seicento, e da Adolfo La Valle,
un sacerdote appassionato di storia locale, in un suo libro degli inizi del Novecento.
Non sappiamo quali fossero i confini e l'estensione di questa antica contrada, ma basandoci sui predetti
documenti possiamo affermare che essa coincideva in gran parte con il territorio a valle chiamato Macchie,
ovvero la zona pianeggiante sottostante la Cattedrale attraversata dal torrente Fullone.
Una parte, però, doveva trovarsi lungo il costone nord occidentale del paese, coincidente con
la porzione di territorio su cui sorge la chiesa del Luogo Santo fino al limite del quartiere di
Sant'Antonio Abate.
Si tratta di un'area abbastanza vasta, che nel corso dei secoli viene contraddistinta e differenziata
con nomi diversi. È proprio questa estensione da valle a monte che induce a credere che si tratti di
un toponimo importante da un punto di vista antropologico, di molti secoli antecedente l'insediamento abitativo
che formerà l'attuale centro storico di San Marco Argentano.
Intanto vediamo di stabilire, partendo dall'ultimo documento, se la denominazione Trivolisi corrispondeva
alla contrada comunemente chiamata Macchie. La conferma ci viene dalla registrazione di persone
facenti parte del nucleo familiare del defunto registrato nella data suddetta. I figli di esso defunto
risultano tutti nati, e alcuni deceduti, in contrada Macchie. Non sappiamo perché, pur trovandosi
l'abitazione ubicata in detta contrada, a distanza di tempo sia stata usata la più antica denominazione
Trivolisi. La spiegazione potrebbe risiedere nella dichiarazione di morte fatta da testimoni, e nella
consuetudine di chiamare il territorio in cui essi e il defunto abitavano con l'originaria denominazione.
Ancora oggi, infatti, pur in presenza di una toponomastica, le persone più anziane continuano a
chiamare le vie con il nome dell'antico quartiere o contrada (esempi Sacramento, Belvedere, Catuccio, Salato ecc.).
Per quanto riguarda, invece, l'estensione della contrada all'interno dell'attuale centro storico, la testimonianza
è contenuta nella Platea delle Monache di Santa Chiara in tre occasioni: la prima fa riferimento ad un
censo annuo "
intus huiusmodi civitatem loco dicto li Trivolisi", la seconda a un censo in
"
loco dicto alli Trivolisi intra menia Civitatis", la terza ad altro censo in
"
in territorio Sancti Marci loco dicto sotto li Trivolisi, et proprie ubi dicitur sopra S.Maria di Loco
Santo".
Lo storico Domenico Martire nel manoscritto "
Calabria Sacra e Profana", conservato nell'Archivio di
Stato di Cosenza, afferma che Trivolisi era il quartiere di San Marco in cui nacque il pittore Pietro Negroni,
notizia che probabilmente gli fu fornita dal vescovo di San Marco Teodoro Fantoni che lo consacrò sacerdote
nel 1658 (da Wikipedia, voce Domenico Martire).
Adolfo La Valle nel libro Su la Torre di San Marco Argentano, Cosenza, Tip. La Brezia, 1905, afferma che il nome
deriva da una colonia romana abitata da Tiburtini o Tivolesi e individua nella Motta e nel Ventuliaturu i confini
a monte. Presso Tivoli esiste un sito archeologico detto Trebula.
Vi sono, poi, alcuni riferimenti linguistici che possono tornare utili per risalire all'etimologia del nome di questa
antica contrada.
Nella poesia di Ciardullo "Jennaru" c'è una parola che ricorda il nome di questa contrada:
"
... E te sienti mpannare/
l'uocchi de cuntentizza, e li pensieri/ trivulusi spariscianu a ruvina/ cumu le neglie si lu vientu mina!"
che nel dialetto calabrese significa tribolanti, paurosi, piagnucolosi (De Accatatis - Diz. Dialetto calabrese), dall'etimo latino
tribulus o tribulum.
Un termine usato per indicare spine ricorre in una poesia di Suor Clarice Selvaggi: "
E poiché triboli/ V'erano
e felci/ Maria dell'elci/ La intitolò." (Antologia Selvaggi).
Infine non possiamo escludere un legame con l'etimo latino
tribulis, individuo di una tribù.

Forse la spiegazione potrebbe essere cercata nell'attività che veniva svolta tra valle e monte, cioè quella
riguardante le
tribula cioè le primitive trebbie, consistenti in assi molto spesse e pesanti, chiodate o fornite
di pietre aguzze nella parte inferiore, e trascinate da animali sulle spighe sparse sul terreno per spezzarne il rivestimento
(tegumento) che ricopre il chicco di grano (cariosside). Questo a valle, a monte, invece, c'era il cosiddetto
"
Ventuliaturu" o "
Vagliu", ovvero lo spiazzo ventoso dove veniva trasportato tutto il trebbiato
per essere ripulito del cascame mediante la cernita ventilata. I
trivulisi potevano essere i trebbiatori, coloro che
possedevano tavole chiodate, animali da tiro, i setacci o crivelli o vagli che dir si voglia, per procedere alla lavorazione
del grano.
Ma da quanto tempo avveniva in quel luogo tale attività e quando fu interrotta? Non esistono, per quanto
io ne sappia, documenti che possano fornirci una risposta, ma esistono documenti risalenti all'XI secolo e seguenti, che
attestano la presenza di mulini ("
molendina"), tuttora esistenti. È ovvio che se esistevano dei
mulini dovevano esistere anche aree, attrezzi e persone che si occupavano della lavorazione del grano,
ed è molto probabile che in tempi in cui le incursioni e le invasioni erano all'ordine del giorno, tali persone
abbiano cercato luoghi più sicuri e questo spiegherebbe perché troviamo il nome della contrada anche a monte,
lungo il pendio nord occidentale del paese.
Anche questa ipotesi, però, solleva qualche dubbio. È molto difficile che
trivolisi-trivolesi possa
riferirsi a persone che esercitavano un'attività. Il suffisso indica, semmai, persone provenienti da una data area
geografica o sociale, e nel caso della forma dialettale
trivulusi indicherebbe persone angariate, timorose o
imploranti pietà. In questo caso l'ipotesi si sposterebbe da liberi artigiani in popolazione oppressa, sollevando
più di un problema sulla natura e la provenienza di tali persone.
E allora?

Beh, finora da tutte le ipotesi avanzate emerge una sola risposta certa: la contrada prendeva il nome da coloro che vi
stazionarono, fossero artigiani, trebbiatori o schiavi o altro. Poichè non abbiamo una risposta ai nostri dubbi
forse vale la pena chiederci cos'altro potevano essere questi abitatori? La risposta ce la dà l'autore della
Cronistoria Salvatore Cristofaro, quando afferma che l'antica Argentano federata con altre città bruzie si
alleò con Annibale contro Roma, alla fine della guerra fu soggiogata e presidiata da una colonia militare. Da
dove proveniva? Da Trebula (Suffenas?), una delle dodici città latine che fornivano a Roma uomini in armi
a presidio delle zone sottomesse.
Tutto chiaro, dunque. Nell'area dell'antica Argentanum dove si acquartierarono le truppe
trebulenses nacque il
quartiere dei Trebulesi, poi corrotto in Trivulisi nella parlata locale e da questa in Trivolisi. Se così
fosse San Marco potrebbe vantare non solo la sua antica origine bruzia, ma un carattere talmente bellicoso e irriducibile
da costringere Roma a farla presidiare da una guarnigione di soldati trebulani. Oppure che i Sammarchesi, sconfitti,
fossero stati ridotti in schiavitù e relegati nella zona più a valle del paese, diventando per i vincitori
i trivulusi, ovvero coloro a cui non restava altro ... che piangere.
San Marco Argentano, 26/1/2022
Paolo Chiaselotti
Nelle in alto un tipo di tribulum tratto da Wikipedia, sotto servi della gleba intenti a mietere
il grano in una miniatura medievale e nell'ultima foto un particolare del pannello bronzeo
dello scultore prof. Eduardo Bruno, raffigurante uno scontro tra Bruzi e Romani, esposto nella sala
consiliare del comune di San Marco Argentano.