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L'ANTISTORIA

L'ABBAZIA DELLA MATINA IGNORATA DAL MALATERRA


Chiostro dell'abbazia di Santa Maria della Matina

Particolare dell'ingresso al chiostro attuale dell'abbazia della Matina (XI secolo)

Avevo dato appuntamento ai lettori1 per parlare dell'arrivo di numerose famiglie di saraceni dalla Sicilia a San Marco, ma ho dovuto rinviare l'incontro perché mi sono accorto che dalla cronaca da cui stavo attingendo le notizie mancava uno dei principali motivi di questa inattesa emigrazione: l'abbazia benedettina di Santa Maria della Matina!
Avevo già preparato il 'pezzo', come suol dirsi in linguaggio giornalistico, con l'accoglienza dei saraceni siciliani a San Marco, quando mi sono reso conto che Goffredo Malaterra non accenna minimamente all'esistenza di una così importante struttura monastica in Calabria.
L'unica abbazia che egli cita nel libro II al capitolo XXXVII della sua unica opera, è quella dedicata a Santa Maria Madre di Dio a Sant'Eufemia, oggi Sant'Eufemia Lamezia.
Una simile mancanza -ve lo giuro su ciò che ho più caro al mondo- non me la sarei mai aspettata, proprio da chi aveva fatto iniziare la carriera del Guiscardo da San Marco Argentano! Ho dovuto prendere atto, improvvisamente e inaspettatamente, che tutte le notizie attinte intorno a questo importantissimo complesso monastico, e al mondo che vi gravitava intorno, provenivano esclusivamente dalle "Carte Latine di Abbazie Calabresi dell'archivio Aldobrandini", tirate fuori da un nostro contemporaneo di nome Alessandro Pratesi, meno di settanta anni fa, quando io rivolgevo i miei maggiori interessi alla 'mentula', sperando di ricavarne le risposte ai miei primi problemi socio-puberali.
Dannato d'un Malaterra! farmi ora uno scherzo di questo genere alla mia veneranda età! Lasciarmi a metà strada, con uno stuolo di saraceni e relative famiglie, senza dirmi nulla sull'abbazia della quale avevo pubblicato pagine e pagine di antistoria e dove avevo supposto che il monaco franco avesse soggiornato!
Ah, ma la colpa è anche mia, devo ammetterlo! Fin dai miei primi passi nell'antistoria', mi ero affidato a lui per narrare le 'storielle' che si dilettava a scrivere. Lo ammetto, è vero, quando avevo cominciato a leggere il XXXVI capitolo del libro II della sua storia sulle Gesta di Ruggero e Roberto, mi ero fermato alle scorregge che uscivano crepitando indecentemente dal culo dei normanni accampati presso Palermo2. Son passati sei anni, ero alle prime armi, e ancora giovane. Da antistorico, quale presumevo di essere, quell'episodio mi aveva talmente divertito che mi ero fermato a quel solo argomento, senza andare oltre nella lettura del capitolo.
Oggi, con la maturità dei miei ottantaquattro anni, mi sono accorto che, immediatamente dopo, Malaterra parla della deportazione a Scribla, da parte del Guiscardo, di saraceni da una piccola città siciliana che aveva completamente annientata. Era l'anno 1064.
L'anno successivo il Guiscardo, sempre stando a Malaterra, fu autore di un altro trasferimento forzato di persone, da Policastro (Petilia?), rasa al suolo, a Nicotera, creata per accogliere i nuovi venuti. Colonizzazioni incrociate, dal sud della Sicilia al nord della Calabria e, all'interno di questa regione, deportazioni da nord a sud. Sembra che il Guiscardo abbia voluto anticipare il meltig pot!
Quindi, in questa scacchiera di mosse imcomprensibili (per me, ovviamente), il cronachista dice di essersi scordato di parlare dell'assedio di Aiello e di Rogel (forse Rogliano) e fa un casino della Madonna per spiegare che lì erano morti Ruggero Scellando e un suo nipote Gilberto. Ce n'era davvero bisogno?
Se l'avesse chiesto a me, che pure sono una bestia in fatto di storia, gli avrei detto che quel Ruggero di cui parla era presente qui, a San Marco, quando fu dedicata la chiesa a Santa Maria della Matina il 31 marzo del 1065. Il Malaterra lo chiama Rogerius, filius Scolcandi, ma sul documento, il più importante delle Carte Latine, -un precetto di dedicazione alla Vergine della chiesa della Matina- compare proprio costui come testimone col nome di Rogkerius Scellandi.
Quello che più mi ha fatto incazzare, però, è quella frase scritta a conclusione del suo sgangherato racconto: "Eorum corpora apud Sanctam Euphemiam, ubi tunc abbatia in honore Sanctae Dei Genitricis Mariae noviter incoepta instituebatur, humanda mandavit: equos et coetera, quae habebant, eidem ecclesiae pro ipsorum salvatione contulit3."
O aveva bevuto (è famoso il vino della Matina) o quelli di Sant'Eufemia lo avevano pagato o, peggio, Ruggero gli aveva chiesto di cambiar registro: in quell'anno, 1065, lo sanno anche le pietre della Silica, l'abbatia in honore Sanctae Dei Genitricis Mariae che noviter incoepta instituebatur era quella della Matina!

Arrivati a questo punto, devo mettere per bene tutte le cose a posto e capire perché Goffredo Malaterra abbia preferito finire a Sant'Eufemia, portandosi dietro il cadavere del nostro Ruggero di Scellando, piuttosto di ammettere che costui era ancora in vita nell'abbazia della Matina a San Marco Argentano.
Ma tu guarda in che casino mi ha cacciato!!! Avevo promesso ai lettori di rivelare da dove provenissero centinaia di saraceni giunti a San Marco nel 1064, e ora sono costretto a farli rientrare a Bugamo, la loro città d'origine, in attesa di accertamenti sull'esistenza dell'abbazia della Matina.


San Marco Argentano, 31 agosto 2025

Paolo Chiaselotti

Note:

1 Anche saraceni a San Marco?
2 La notte della taranta
3 Mandò i loro corpi a Sant'Eufemia, dove vi era stata appena innalzata l'abbazia in onore di Maria Santa Madre di Dio, perché vi fossero sepolti. A suffragio delle anime, i cavalli e il resto di quanto possedevano fu dato alla stessa chiesa.


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