LA STORIA LE STORIE - INDICE
LA FONTANA
Racconto di Porfidio Curlotti


1. Sichelgaita e l'allucinazione di don Goffredo.

Alzando distrattamente lo sguardo dai riflessi dell'acqua verso il cielo don Goffredo notò qualcosa di diverso al di sopra della lesena in pietra. Non riuscì a rendersi immediatamente conto di cosa lo avesse colpito e pensò che il colombo, che lo stava osservando incuriosito, avesse qualcosa di diverso dai suoi simili che avevano eletto quel monumento a loro dimora. Lo osservò attentamente confrontandolo con gli altri, ma al di fuori di qualche macchia più bianca sulla testa non gli parve che avesse alcuna particolare caratteristica. Quando si avvicinò per guardarlo meglio, l'uccello volò via lasciando vuota la postazione occupata. Don Goffredo ebbe l'impressione che il colombo avesse lasciato un insolito spazio vuoto nella trabeazione e solo allora si rese conto che mancava una delle tre teste femminili in pietra che ornavano la fontana.
Abbassò istintivamente gli occhi nella vasca nella certezza che vi fosse caduta, ma al di fuori dei riflessi di qualche nuvola, interrotti dal getto dell'acqua che fuoriusciva dal muso di un imperturbabile leone in ferro, e delle minuscole alghe non vide altro. Diede un'occhiata sul bordo e ai piedi della fontana, alla ricerca di qualche frammento o di un segno della caduta, poi pensando che la testa poteva essere rimbalzata e rotolata sulla strada, allungò lo sguardo nella parte in discesa e, per maggior sicurezza, anche nella parte in salita, ma sulla strada non vi erano né la testa, né parti di essa, né segno alcuno che vi fosse rotolata. Fece alcuni passi e diede un'occhiata sul lato opposto, dietro l'angolo della chiesa, sicuro che l'avrebbe trovata in una porzione residua di acciottolato sottostante il lato destro della scala. Anche quest'ultima convinzione non trovò conferma nei fatti. Si arrese all'evidenza che una delle tre teste femminili in pietra che ornavano la fontana di Santomarco, o di Sichelgaita come di recente era stata chiamata, era scomparsa. Don Goffredo alzò istintivamente gli occhi al cielo, quindi li spostò sulla torre sovrastante la fontana e da quest'ultima nuovamente sulla trabeazione che ora, per l'assenza dell'originaria simmetria, appariva priva proprio di quella testa che aveva dato il nome dalla fontana. A dire il vero oltre alla testa, la scultura aveva due seni piccoli e tondi sorretti dalle dita delle mani, così esili da essere a stento notate. Sarebbe stato più esatto definirla un busto, ma essendo priva di spalle, l'osservatore ne percepiva essenzialmente la testa e il collo ornati di monili, e solo dopo un esame più attento notava i due piccoli seni attaccati al collo. I pochi studiosi che si erano accapigliati per scoprire l'identità, l'epoca e il significato delle tre sculture, e coloro che avevano qualche reminiscenza di studi classici, preferivano chiamarle cariatidi. Le anziane signore del circolo parrocchiale che ostentavano disinvolte conoscenze storiche preferivano chiamarle con il nome che era stato dato ad esse al termine delle dispute degli studiosi: Sichelgaita e Alberada. La terza testa, forse perché appariva più cariatide delle altre, o forse perché gli studiosi non avevano trovato un accordo sulla sua età, fu chiamata Virtù, ma nonostante il nome era la meno apprezzata delle tre figure. Don Goffredo si chiese perché fosse stata sottratta o per meglio dire - corresse subito quell'ipotesi azzardata - tolta proprio la testa di Sichelgaita, che era quella meglio conservata, oltre che la più bella, sia per gli ornamenti e sia per gli occhi lievemente orientali che la facevano apparire un'imperatrice giapponese. Sapeva bene che non poteva esserlo, ma nella sue fantasie si mescolavano conoscenze ed esperienze disparate: l'immagine delle geishe in una rivista missionaria e il ricordo, anch'esso lontano, di Nina che a Santa Lucia gli aveva fatto una spagnola per cento lire.
Sgombrata la mente da questi ricordi importuni, si concentrò sulla sparizione, anzi sulla scomparsa, o meglio sull'assenza di Sichelgaita e sull'accertamento, anzi sulla scoperta, o meglio sulla conoscenza dei motivi di essa. Picchiò con l'estremità dell'indice sui tasti del cellulare finché non comparve sul display un numero a dieci cifre. Premette a fondo il tasto di avvio della telefonata, quindi accostò rapidamente l'apparecchio all'orecchio dicendo pronto prima ancora di udire il segnale di linea attiva. In attesa che qualcuno gli rispondesse si girò lentamente verso la fontana per rivedere il particolare privo della testa di Sichelgaita. Il cellulare gli cadde dalle mani mentre una voce ripeteva insistentemente: pronto, pronto. Don Goffredo si chinò lentamente per raccogliere il telefonino, altrettanto lentamente lo chiuse, con gli occhi incollati sulla trabeazione in cui allineate e perfette facevano sfoggio di sé Alberada a destra, la Virtù al centro e Sichelgaita a sinistra. Si stropicciò gli occhi, guardò nuovamente le tre teste, chiuse e riaprì gli occhi più volte, quindi corse a mettere la testa sotto il muso del leone. La tenne così per alcuni secondi, poi l'agitò per scrollarsi l'acqua dai capelli e ogni possibile allucinazione dagli occhi. Rimise a fuoco una alla volta le tre teste e, infine, con un sospiro si sedette sul bordo della vasca tastandosi un polso per contarne i battiti.
La Fontana racconto di Porfidio Curlotti