LA STORIA LE STORIE - INDICE
LA FONTANA
Racconto di Porfidio Curlotti


4. Un banale refuso tipografico
Non appena Angela Carracchio si fu allontanata, il parroco cominciò a riflettere sull'interesse dimostrato dalla docente sul nome delle tre statue: senz'altro era sua intenzione promuovere qualche pubblico dibattito sulla fontana e sulle sue origini. Il fatto che fosse la moglie del sindaco le garantiva la possibilità di avere a disposizione ogni supporto per una buona riuscita delle sue iniziative: sala convegno, manifesti, sponsor e via dicendo, cosė come era accaduto in altre occasioni.
Qualunque fosse il suo pensiero riguardo la fontana e le sue origini, un convegno rappresentava un'occasione propizia per affrontare pubblicamente il discorso e intervenire per ristabilire la verità storica fondata su fede e tradizione.
Senza perdere tempo telefonò al sindaco per proporgli l'iniziativa di un convegno sulla Fontana, relatrice sua moglie, con il patrocinio del Comune, della Provincia e della Regione, considerati i risvolti socio-culturali di interesse nazionale che l'argomento presentava. Il sindaco, alle prese con ben altri problemi, si dimostrò piuttosto restio a finanziare un'iniziativa nella quale non intravedeva alcun vantaggio, né per sé né per il Comune, pur tuttavia, tenendo in debito conto quanta influenza avesse don Goffredo sulla comunità parrocchiale, rispose che si sarebbe accollato solo la spesa per i manifesti.
Don Goffredo dopo alcuni minuti era già dal tipografo con il testo da stampare sugli annunci del convegno. Il titolo, nero su bianco, scritto dal prete al centro di un foglio era testuale: "La fontana dell'apaiche: realtà o mistificazione?". Aveva avuto qualche attimo di esitazione nello scrivere quel termine che per lui che conosceva il greco e il latino non aveva alcun significato, ma poi, riflettendo che quello era il nome che compariva in ogni genere di pubblicazione ai fini turistici, decise Appena uscito si soffregò le mani, convinto che per l'occasione avrebbe saputo trovare mille e uno argomenti per confutare le baggianate dei cosiddetti studiosi. Anzi per anticipare la notizia ufficiale del dibattito pensò bene di informarne a voce tutti i parrocchiani che ebbe modo di incontrare, e non solo loro, raccomandando a tutti di essere presenti per ascoltare le grosse e importanti novità che in quella sede avrebbe svelato sulle misteriose figure, aggiungendo con fare altrettanto misterioso: "Per il bene del paese."
La notizia del convegno si era sparsa in tutto il paese, non tanto per l'interesse che questo ennesimo convegno destava su una popolazione ridotta all'osso e composta per lo più da anziani, quanto per quell'accenno all'apache che per bocca del tipografo si era sparso più della notizia stessa. Di bocca in bocca quella parola mal interpretata divenne un apache indiano. La voce finì per arricchirsi di un'altra connotazione altrettanto curiosa generata in maniera involontaria dalla professoressa Carracchio, la quale appena seppe dal sindaco, che era suo marito, della telefonata del parroco, la mattina stessa decise di affrontare l'argomento con i suoi studenti, questa volta con un tema ben diverso: le donne della fontana di Santomarco erano di facili costumi? Qualunque cosa il parroco si fosse proposto di dire nel convegno, lei lo avrebbe anticipato parlandone ai suoi studenti, i quali ne avrebbero parlato con gli amici, lo avrebbero riferito a casa, e quel che più conta lo avrebbero diffuso attraverso quelle diavolerie tipo Facebook o Twitter nel cui uso erano abilissimi.
Affinché l'argomento destasse il massimo dell'attenzione soppesò attentamente le parole, l'inflessione della voce, le pause, ricorrendo anche a qualche piccolo intercalare come "Non so se posso dirlo" oppure "Non vorrei scandalizzarvi con quanto sto per dire", accompagnato da qualche strizzatina d'occhio che mai e poi mai si sarebbe sognata di fare in altra circostanza.
Ottenne l'effetto desiderato: Fu un susseguirsi di domande e risposte, di interventi partecipati pertinenti e impertinenti, e non senza fatica riuscì ogni volta a riportare i discorsi che scivolavano pericolosamente sul terreno dell'erotismo verso lidi più tranquilli. "Per l'amor di Dio" raccomandava ogni volta "cerchiamo di restare nel tema delle epaiche greche", senza rendersi conto che nessuno aveva mai attribuito a quelle figure alcuna origine ellenica. Riflettè un istante, ma solo un istante davvero, su quella sua affermazione, e si compiacque con se stessa per aver intuito, lei per prima, che quelle allegre donnine sospese tra acqua e cielo, erano greche, anzi magnogreche, considerando la loro terra di origine.
Qualche ora più tardi nel circolo sociale del paese cominciarono ad affacciarsi un po' per volta gli anziani, che in un modo o nell'altro erano venuti a conoscenza del convegno, e delle voci circolanti sulla scoperta che due busti di donna della fontana di Santomarco, attribuite dagli studiosi alle due mogli del Guiscardo, erano in realtà delle divinità indiane. In quel locale odorante di fumo si sviluppò un acceso dibattito teso ora a confutare ora ad avvalorare una così soprendente ed incredibile ipotesi. Come sempre accade chi ha una mente più aperta e più vivida degli altri riesce a trovare argomenti tali che oltre a riuscire convincenti fanno maturare nuove idee e ulteriori interventi. Così accadde che il maestro in pensione Giubbili, avendo appena colto quel nome generatore di tante accese discussioni nella versione distorta di apache, che come abbiamo visto incautamente il tipografo aveva diffuso, scoppiò in una risata sonora, ma niente affatto contagiosa, perché nessuno dei presenti volle dargli la soddisfazione di aver sbagliato in tutto o in parte le proprie asserzioni o argomentazioni. Giubbili comprese subito che l'originario termine paiche o apaiche, che dir si voglia, era stato corrotto nella voce che indicava una tribù indiana, o per meglio dire una tribù di nativi americani. E a questo punto rimarcò il concetto di una palese confusione tra gli indiani d'America e gli indiani propriamente detti. Ma proprio quando, nel silenzio generale, il tremendo equivoco sembrava chiarito con grave scorno di coloro che lo avevano così fortemente sostenuto, ecco che il maestro volle dare dimostrazione di come, in fondo, l'origine indiana delle figure avesse un suo fondamento. Tra lo sbalordimento generale, accompagnato dalla sottile speranza di quanti si erano avventurati nelle più contorte argomentazioni di non aver del tutto preso una cantonata, il maestro, che nel frattempo di era alzato in piedi, estrasse come un abile spadaccino dal fodero una delle sue intuizioni più geniali, in una maniera così naturale da farla apparire non solo perfettamente credibile ma finanche ovvia.
"Pakistan" disse semplicemente, guardando in faccia ad uno ad uno i presenti, in attesa che uno di loro ne traesse le immediate deduzioni. Conoscendo bene non solo gli astanti, ma anche la generalità delle persone, attese che prima ancora di aver dato le proprie spiegazioni, il meno riflessivo di loro avesse non solo avvalorato la sua ipotesi, ma addirittura l'avrebbe anticipata, argomentata e sostenuta, fino a convincere se stesso e gli altri di ciò che un istantante prima neppure sapeva. Era già accaduto nell'accesa discussione sui cosiddetti "derivati" che divennero tutto e il contrario di tutto, con contorno di termini quali finanza creativa, economia virtuale e via dicendo, impunemente esternati da persone che non sapevano di che cosa stessero parlando.
Quel Pakistan evocò il nume primigenio, l'apache, che da pellerossa nel volgere di pochi istanti divenne apachi, per poi essere corretto in pachi e infine, dal più spudorato dei presenti, in un Pahi con un'acca fortemente aspirata.
Il più era fatto. "Esatto" concluse candidamente Giubbili "una divinità pachistana". Perché, come e quando il culto di tale misterioso nume fosse stato introdotto in Italia e nel Meridione in particolare non fu accennato da nessuno, neppure dal maestro, che forse avrebbe incontrato anch'egli, geniale improvvisatore, qualche difficoltà a spiegare questo ennesimo mistero.
Ognuno di loro, essendo già prossima l'ora di pranzo, si avviò verso l'uscita, mentre all'incirca alla stessa ora all'altro capo del paese uscivano dalla loro classe alcuni studenti che sull'argomento avevano appreso cose completamente diverse.
Se mai uno scontro generazionale si fosse svolto nelle case in cui entrambi, giovani e anziani, si stavano dirigendo, esso avrebbe avuto come terreno di scontro l'inesistente. Accadde, invece, che dell'argomento non se ne parlò affatto, o meglio si parlò della fontana e delle sue figure, ma per un motivo ben più serio di quello finora affrontato.
La Fontana racconto di Porfidio Curlotti