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IL PRIMO ABITATO DI SAN MARCO FU DI SCLAVI? ![]() La chiesa di Santa Maria con le case addossate dalla parte absidale e la
strada proveniente dal sottostante vallone
In una precedente puntata ho parlato della chiesa di Santa Maria de Illirico, comunemente chiamata
dei Longobardi, definendola Santa Maria degli Sclavi.
Credo sia opportuno fare chiarezza sulla presenza di Sclavi a San Marco, partendo dal fatto che essi furono realmente presenti in numero di sessanta, al seguito di Roberto il Guiscardo, stando a quanto lo storico Goffredo Malaterra attesta e descrive minuziosamente. Dobbiamo ritenere fondata la notizia, in quanto non ci sono possibilità di equivoci o di interpretazioni difformi. Tali Sclavi furono impiegati da Roberto il Guiscardo per procurarsi il cibo assalendo un villaggio nottetempo. Anche il rapimento del signore di Bisignano, Pietro di Tira, ebbe probabilmente come protagonisti questi mercenari, visto che ancora il Guiscardo non aveva un cospicuo contingente di cavalieri e per il motivo principale che dirò immediatamente. Anche in questo caso l'azione vide San Marco come luogo di partenza e di rientro con l'ostaggio. Perché anche in tal caso posso affermare che i suoi uomini erano Sclavi? Perché, sempre il Malaterra, nel capitolo XVII del Libro primo delle Gesta di Roberto e Ruggero, afferma "Soliti autem erant multotiens convenire hic et Robertus Guiscardus, quasi ad placitum, de pluribus controversiis, quae inter suos eveniebant.", cioè che molti si rivolgevano al saggio giudizio del signore di Bisignano per dirimere questioni e Roberto si reca da lui come volesse metter pace tra i suoi per le tante controversie sopraggiunte. Poiché con sè aveva ben pochi cavalieri, e gli sclavi in gran numero, dobbiamo dedurne che Malaterra si riferisce a liti tra costoro, deduzione che trova conferma anche nel seguito dell'azione, quando il Guiscardo spiega di voler parlare separatamente per evitare risse: "Guiscardus, videns maximam multitudinem cum Petro venisse, nuntio praemisso, mandat, se illi multitudini intermisceri nolle, ne forte inter ipsos tumultus ex aliqua re fieret" (Guiscardo, vedendo sopraggiungere Pietro con una pletora di uomini, mandò un emissario a dirgli che non voleva che i suoi venissero a contatto con quelli, per timore che ne potesse nascere qualche scontro). Credo sia fuori dubbio che questi sessanta sclavi erano al suo seguito e che fossero a San Marco. Se è valida tale prova, altrettanto valida deve essere l'affermazione contenuta nella Visita ad Limina del vescovo di San Marco mons. Fantoni che, nel riferire al pontefice lo stato della sua diocesi elenca le chiese di San Marco e oltre alla cattedrale, cita con estrema precisione le seguenti tre: "Præter Cathedralem adsunt in Civitate tres aliæ Singularis deuotionis, Ecclesiæ V[idelicet] S. Mariæ de Illirico (fig.1), S. Ioannis Baptistæ (fig. 8 e 9) et S.Catharinæ Virginis et Martiris (sic) (fig.18-20)" (nelle parentesi i numeri corrispondenti alle foto contenute nel libro sottoindicato). Ho voluto trascrivere esattamente il testo della Relazione ad Limina del 15 aprile 1665, coeva al sinodo tenutosi nello stesso anno, come sono stati trascritti da Tonino Caruso nel volume "Il sinodo di Teodoro Fantoni Vescovo di San Marco 12-14 aprile 1665, introduzione, textus, traduzione, appendice documentaria, Scriptorium Argentanum 1, Ecclesiam Sancti Marci, Gangemi Editore" -che contiene anche le foto delle predette chiese- da cui emerge senza alcun dubbio che la chiesa di Santa Maria de Porticella o de Illirico riprodotta con tale esatta dizione dall'autore è la chiesa di Santa Maria dei Longobardi 1. Il nome Illirico si riferisce al territorio balcanico chiamato anche Illiria e abitato da una varietà di popoli comunemente definiti slavi, anche se di etnie diverse. Il termine fu scritto in forme diverse come ad esempio sclavi e schiavi, e comunque originate dal fatto che i loro territori erano considerati luogo di approvvigionamento di schiavi. Gli sclavi di cui parla il Malaterra erano presenti in numero enorme nell'impero bizantino, come attestano le cronache del tempo, e in misura molto inferiore in Puglia e in Calabria, dove la testimonianza maggiore è quella del Malaterra con espresso riferimento a San Marco. Se tutto ciò è pienamente e incontrastabilmente documentato, perché non dovremmo ritenere che la denominazione di Santa Maria de Illirico si riferisca proprio ai sessanta sclavi del Guiscardo? E perché la chiesa 'degli slavi' dovrebbe trovarsi proprio in un luogo sopraelevato, sulla strada proveniente dal sottostante vallone? Ho voluto fare un piccolo sopralluogo nel quartiere dove sorge la chiesa e ho notato che sul lato della predetta stradina l'antico muro di sostegno della chiesa ha un andamento non orizzontale, ma inclinato, che va crescendo verso la parte retrostante. Essa è curvilinea, come se vi fosse stata un'abside, non centrale, ma a filo della parete destra della chiesa. Mettendo assieme le due rilevazioni, un percorso in salita e una parte tondeggiante, sono propenso a ritenere che quella rotondità sia parte residuale di una torretta di guardia. Francamente mi riesce difficile pensare che gli sclavi possano aver eretto una 'loro chiesa', data la precarietà della loro stessa esistenza, mentre può essere più probabile che la chiesa sia nata in seguito su un preesistente piccolo presidio. Il nome Vardara dato al territorio sottostante potrebbe confermare questa mia interpretazione dei luoghi. Il fatto, però, che la chiesa si chiamasse de Illirico (Illirico non è un aggettivo ma deriva dal nome Illyricum di una provincia di Roma nell'area balcanica) è significativo di una presenza slava, anzi sclava, come è giusto definirla in base alla cronaca di cui disponiamo. Con il linguaggio di oggi, politically correct, potremmo definire gli sclavi gente socialmente svantaggiata, ma a quei tempi la considerazione verso costoro era di autentico rifiuto e il fatto che il Guiscardo se ne fosse avvalso nella sua iniziale carriera di brigante da strada lo conferma ampiamente. Cambiarono in meglio una volta trapiantatisi a San Marco? Io non azzardo mai ipotesi, ma stando a quanto riferisce Malaterra proprio a proposito della loro originaria presenza a San Marco, il Guiscardo nel premiarne il loro valore e il coraggio da fanti li trasformò in cavalieri ("Sicque, triumphalibus spoliis captis, de peditibus suis equites fecit"). Devo intendere che divennero realmente cavalieri o che furono piuttosto ricompensati alla stessa maniera con cui si premiavano i cavalieri, cioè assegnando loro delle terre? Propendo per quest'ultima possibilità, che oltretutto giustifica una loro permanenza stabile in loco. C'è, infine, un altro aspetto da tenere in considerazione. Qualunque sia stato, o mutato col tempo, il loro stato sociale, la città crebbe sul versante di Santa Maria isolando questo quartiere e lasciandolo 'fuori le mura', al di là della porta detta de li Trivolisi. Quando ciò accadde non saprei dirlo, ma ritengo che i successivi insediamenti abbiano avuto origine partendo dalla zona alta, ovvero dalla chiesa di San Giovanni degli Amalfitani, scendendo verso capo delle Rose. Se la mia supposizione è giusta, fu a seguito di questo insediamento che fu eretta una porta di accesso alla città in sostituzione di quel precario presidio della 'Vardara'. Essa segnò il limite del quartiere degli 'straccioni' che avevano la loro dimora nell'area sottostante, tanto che la porta prese il nome proprio da coloro che abitavano oltre ad essa: porta de li Trivolisi e, a conferma di quanto ho finora supposto, c'è la testimonianza proprio dell'altro nome della chiesa di Santa Maria che Tonino Caruso riporta nel citato volume: Santa Maria della Porterola. A questo punto del mio ragionamento, e del mio itinerario di sviluppo urbanistico, mi nasce un dubbio enorme. Temo che un pregiudizio porti anche me a 'lasciar fuori dalla porta dei trivolisi' la chiesa di Santa Maria, con la sua porterola, considerandole due porte distinte. E finanche la mia apodittica affermazione che una città più 'nobile' dovesse esistere più in alto potrebbe trarre origine nel rifiuto assoluto di considerare una nostra origine 'povera'. Debbo necessariamente fermarmi per raccogliere e sistemare le idee, sperando che qualcuno mi aiuti a capire cosa avvenne nel corso degli anni, precedendomi nel percorso in salita o venendomi incontro dalla chiesa degli Amalfitani. In questo qualcuno includo anche Tonino Caruso, che compiutamente e sapientemente, continua a fornirmi attraverso il suo testo notizie interessantissime, che io vi trasferisco disordinatamente e a puntate. S. Marco Argentano, 12.8.2025 Paolo Chiaselotti
1 In una successiva Relazione ad Limina del 30 novembre 1680, riportata nel libro sopracitato
di Tonino Caruso, lo stesso vescovo Teodoro Fantoni chiama la chiesa Santa Maria de Illice.
Tonino Caruso vi aggiunge tra parentesi la nota (sic per Illirico?),
dando per probabile un'errata dizione o trascrizione. In effetti anche nella Platea delle Clarisse
il nome della chiesa è riportato nella dizione dell'Ilice e della Nova, in entrambi i casi, però
non compare mai la dizione dei Longobardi. Tuttavia, più che il raddoppiamento della "elle"
(Illice) che compare nella relazione del vescovo Fantoni, ad escludere che si tratti di un riferimento
all'albero del leccio o dell'elce o dell'ilice (in latino ilex, ilicis) è la dizione data dal
Pacichelli e tuttora usata di Santa Maria dei Longobardi. Se si accetta tale versione con riferimento ad un
popolo e non ad una pianta, va presa in considerazione la voce Illirico e non Illice, la quale è molto
probabile che sia nata da una 'volgarizzazione' della dizione Illire derivato da Illirico.
Di seguito alcune pagine in cui ho trattato l'argomento: Santa Maria degli Sclavi (parte I) Santa Maria degli Sclavi (parte III) I trivolisi Da castrum a civitas - Santa Maria |
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