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SCLAVI: A SAN MARCO IL NOME DEL LORO FIUME ... ![]() Un tratto del fiume Vardar a Radiovce in Macedonia (da Wikipedia - autore Macedonianboy
In una precedente puntata riguardante lo stanziamento a San Marco di sessanta sclavi
al seguito di Roberto il Guiscardo mi ero ripromesso di ritornare sull'argomento, troppo impegnativo, ma di
estremo interesse.
Essendo inesistenti le notizie su codesto corposo 'contingente' di pedoni o fanti, tranne le poche che fornisce Goffredo Malaterra in uno specifico capitolo su San Marco, ho voluto testardamente indagare da quale area dell'Illirico provenissero. Impossibile, visto che nessun altro scrittore ne parla e considerato che la loro presenza non compare neppure nelle Carte Latine. Se nel 1065, epoca in cui Roberto e la moglie Sichelgaita donarono vasti possedimenti del territorio di San Marco all'abbazia della Matina, fosse esistita una chiesa di Santa Maria dell'Illirico o dell'Illire o un casale o un qualsiasi insediamento urbano, sarebbero stati inseriti nel documento di donazione. Tuttavia, se nel 1665 il vescovo di San Marco Teodoro Fantoni elenca le chiese esistenti a San Marco e alla chiesa di Santa Maria assegna l'appellativo dell'Illirico e cinque anni dopo dell'Illire, dobbiamo necessariamente convenire che tale chiesa doveva avere a che fare, per motivi che ignoriamo, con Illiri, cioè persone provenienti dai territori della penisola balcanica. Ho ritenuto che tale presenza potesse essere l'unica di cui abbiamo documentazione, ovvero gli sclavi di cui parla il Malaterra. Voglio ripeterlo perché sia ben chiaro: lo storico parla di sclavi con esplicito riferimento alla presenza del Guiscardo a San Marco. Il fatto che essi non compaiono nel documento di donazione è una conferma della loro condizione: miseri e sottomessi, privi della dignità di un popolo, equiparabili ad una tribù. Gli abitanti del vico Prato, citati con nome e cognome nel predetto documento, erano proprietari di terre e alcuni di loro svolgevano pubbliche funzioni. Nel caso degli sclavi essi avevano solo 'vili vesti' e le famose 'scarpe' al posto dei calceari e forse qualche arma rudimentale. Il Guiscardo dimostra nei loro confronti, pur con la dovuta prudenza, cameratismo, approccio da 'primus inter pares', guida sicura e generosità. Quel che più conta è il riconoscimento del loro valore e il premio finale per l'impresa compiuta. Il Malaterra non dice se quegli uomini furono ricompensati con l'assegnazione di un dato territorio, come avveniva generalmente tra i cavalieri, ma solo che il bottino realizzato nell'azione notturna di saccheggio era cospicuo. Parte di esso senza dubbio fu condiviso e ad esso si aggiunsero altre entrate derivanti dal riscatto dei prigionieri. Oltre al bottino, c'è, però, quell'importantissimo riconoscimento che il Guiscardo fece ai suoi uomini: de peditibus suis equites fecit, da fanti li promosse cavalieri. E come tali poté ricompensarli assegnando a tutti loro un dato territorio ovvero, come ritengo per i motivi già esposti, quello dove sarebbe sorta la chiesa di Santa Maria. Il termine de Illirico non credo che si riferisca ad una loro devozione ma, come spesso accade, al quartiere dove la chiesa fu eretta e da costoro abitato. Il fatto che il luogo fosse strategico ai fini del controllo della strada che proveniva dalla sottostante vallata è confermato dall'altro nome con cui la chiesa era chiamata: Santa Maria della Porterola. Anche i toponimi Richetto e Vardara assumono una certa importanza. Avevo scritto che probabilmente Vardara aveva attinenza con guardare, ovvero essere un punto di osservazione. Credo, però, che gli sclavi ci abbiano lasciato un segno indelebile della loro presenza e del loro stanziamento in quei luoghi, tanto da farmi sospettare che la loro provenienza fosse dall'area dell'attuale Macedonia. Perché? Perché essendo di stirpe slava, e non germanica, non potevano usare, né loro, né i bizantini e meno che meno i normanni, la parola Vardara con questo significato. Con questa parola, che è rimasta per secoli immutata come un fossile linguistico, gli sclavi avevano ribattezzato nella loro lingua il fiume sottostante, lo stesso che col nome Vardar ( ![]() Alla luce di quanto è emerso, ammesso che le conclusioni abbiano un reale fondamento, il quartiere Trivolisi e la Porta dei Tribulisi, citata nella Platea di San Marco, assumono un preciso significato di emarginazione. Altrettanto evidente appare la volontà di 'nobilitare' quei luoghi e soprattutto il quartiere nato 'al di qua delle mura', dove nel quartiere del Crité, altrimenti detto il Criteo, negli anni erano sorti i palazzi di importanti famiglie. Vedremo in una prossima puntata come fu 'nobilitata' la chiesa degli Illiri. S. Marco Argentano, 15.8.2025 Paolo Chiaselotti
Note:
Di seguito alcune pagine in cui ho trattato lo stesso argomento:
I trivolisi Da castrum a civitas - Santa Maria Santa Maria ... degli sclavi Sclavi i primi abitatori di S.Marco? |
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