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LA CHIESA MUSEO (2)....

La chiesa museo 2

Come avevo annunciato in una puntata precedente1, con cui iniziavo un 'giro' alla Riforma, vi svelerò perché ho voluto iniziare la storia dal quadro che raffigura il miracolo delle noci di manzoniana memoria e soprattutto la sorpresa che esso contiene.
L'arte non è materia divina, ma l'applicazione delle umane capacità nel realizzare opere di genere diverso. Essa ci permette di cogliere i messaggi che il pittore vuole trasmettere attraverso una serie di elementi che vanno dal colore, ai volumi, alla composizione, ai soggetti ecc. e, nel caso in questione, osservando le caratteristiche fisiche dei due monaci sulla scala notiamo che il pittore si è soffermato sui tratti somatici tanto da farli apparire ritratti di persone reali piuttosto che anonimi protagonisti.
Il monaco in alto a destra, con le mani occultate entro le maniche del saio, poco tempo dopo l'esecuzione dei lavori di restauro, abbandonò il convento e l'abito monacale, si trasferì in altra città e si sposò. Come non collegare questa sua scelta con il titolo dell'opera da cui fu tratto il soggetto del quadro, I Promessi Sposi.
Questo fatto, che all'epoca in cui avvenne destò scandalo, ha finito per rientrare tra le curiosità che fanno parte di una illustrazione ragionata delle opere esposte.
Il quadro potrebbe rappresentare quel piccolo peccato di vanità che a volte spingeva il committente di un opera a farsi ritrarre, solo o con familiari, in un quadro devozionale.
La storia dell'arte è piena di questi esempi e tutti i quadri in cui compaiono i ritratti del committente continuano a restare esposti, al di là del giudizio sulla vita della persona ritratta.
Nel nostro caso l'aspetto insolito è dato dall'epoca in cui esso fu realizzato, ovvero nella nostra, visto che fu eseguito meno di settanta anni fa, quando questa usanza era ormai scomparsa o trovava posto solo nei quadri ex-voto.
Nessun accompagnatore, per l'esperienza che ho, si sofferma su questo quadro, perché lo giudica insignificante rispetto al valore storico e artistico delle altre opere presenti nella chiesa. E fa male, perché quei due personaggi -anche se uno fu protagonista di una scelta discutibile sotto l'aspetto devozionale- furono gli artefici dei lavori di restauro e di riscoperta dell'antica struttura gotica nascosta dall'apparato architettonico barocco.
Si chiamavano padre Giacomo e padre Teodosio, erano fratelli e il primo, quello sulla scala al centro della scena era il padre guardiano. Il motivo principale per cui si misero in testa di 'manomettere' il barocco fu il desiderio di restituire alla chiesa l'originario spirito francescano rappresentato dallo stile gotico.
Fecero, quindi, togliere le sovrapposizioni barocche dalla cappella all'ingresso e da quella absidale. Comparvero le strutture gotiche che oggi si possono ammirare.
Il contrasto tra lo stile gotico e lo stile barocco è una delle principali caratteristiche della chiesa ed essendovi, inoltre, particolari costruttivi ed un elemento di arredo funzionale al coro, un leggio ligneo intarsiato, del Cinquecento, il visitatore può cogliere in un'unica visita questi tre aspetti stilistici. La chiesa originaria, tuttavia, non era quella che oggi vediamo, in quanto un affresco di Sant'Antonio2, portato alla luce proprio in seguito ai lavori di restauro, è, da un lato, coperto da una delle quattro colonne che reggono la volta gotica. Il dipinto esisteva, quindi, prima che fosse costruita la chiesa e, con tutta probabilità, doveva far parte di una chiesetta ad uso dei monaci annessa al convento.
Un'epigrafe a caratteri gotici3, di un colore rosso oramai quasi cancellato, riporta la data del Milletrecentoventi e l'intervento di un notaio, segno che la costruzione avvenne a seguito di una donazione. L'immagine affrescata di Sant'Antonio dovrebbe essere, quindi, anteriore a tale data.
Ecco, allora, che quel piccolo peccato di vanità del padre guardiano diventa motivo di apprezzamento di un'opera dalla sua nascita -probabilmente retrodatabile al XIII secolo- ad oggi. Insomma abbiamo un piccolo gioiello spirituale che dura da otto secoli.
Bisogna aggiungere, però, che il complesso francescano subì anche delle aggiunte architettoniche per renderlo funzionale ad altri scopi. Nel bene e nel male la figura di padre Giacomo ritratta dal maestro Mario Battendieri nel secolo scorso è lì, in alto, sopra l'altare, a testimoniare la storia del suo credo e del museo religioso da lui ideato.
Nel guidare un visitatore io non trascurerei di illustrare i vari quadri che si trovano sugli altarini e quelli sulle pareti all'ingresso, nella cappella e nell'abside, oltre alle suppellettili in legno intagliato 4.
Eviterei, in ogni caso, di dare giudizi inappropriati sulle sovrapposizioni barocche, giudicandole, come spesso si legge o si sente, sovrabbondanti e teatrali, e mettendole a raffronto con lo stile sobrio del gotico. Nella storia dell'arte non si fanno paragoni, ma si spiegano cultura e circostanze storiche che hanno originato quel dato stile. Spiegherei, piuttosto, perché al complesso sia stato dato il nome di Riforma, dopo aver ben studiato le contrapposizioni manifestatesi all'interno dell'ordine francescano che sono alla base delle scelte sopraesposte.


San Marco Argentano, 2.10.2025

Paolo Chiaselotti


1 Vedi Iniziamo il giro della Riforma ...
2 Vedi L'affresco di Sant'Antonio
3 Vedi MCCCXX - un'epigrafe storica ...
4 Vedi Indice arte

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